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ALMANACCO-agosto

Agosto = Austu o Santa Maria: mese dedicato all’imperatore romano Ottaviano Augusto. Per i cristiani è il mese di Santa Maria o cioè dell’Assunzione in cielo della madre di Gesù.

Il 15 Agosto, giorno di Santa Maria, nel calendario sardo scadeva l’anno agricolo e pertanto i padroni delle terre saldavano il conto ai braccianti agricoli (servi contadini). Qui è ancora d’uso l’espressione: “ A pagai a Santa Maria”!  Giorno in cui appunto i braccianti ricevevano il saldo dei compensi dovuti e successivamente potevano “godere” di un periodo di riposo (non pagato) di circa tre settimane; sino, circa, al 10 settembre (Cabudànni): data che segnava l’inizio del nuovo anno agricolo e il rinnovo dei contratti ( per i più fortunati). Nel frattempo i braccianti dovevano arrangiarsi…”tristu e miserinu s’arrìccu, su poburu jei s’arràngiat”! (vedi, A- dicius – detti e proverbi del Campidano). Lasciati zappa e tridente (màrra e trebùtzu), trascorrevano “lietamente”, si fa per dire, le meritate ferie, a fabbricare utensili domestici o a rinnovare quelli esistenti, per poi poterli vendere nel paese o nei centri vicini. Si trasformavano quindi in abili artigiani (l’antica mobilità nel posto di lavoro!), dalle cui mani rugose uscivano quasi per magia degli oggetti meravigliosi. I meno “famosi” erano gli impagliatori (is affunixeddadòris de scannus e cadìras), cioè quelli che rinnovavano i rivestimenti delle seggiole, con i giunchi (sèssini = cyperus longus), pazientemente intrecciati in cordicelle, che tenevano già pronte per l’occasione. Tra questi c’erano inoltre i fabbricanti di stuoie (stòyas), che erano i letti o meglio i giacigli dei poveri (vedi sempre in Giuseppe Concas A- racconti del Campidano “S’Interru de Mragherèdda”). Vi erano poi quelli “più abili”, i canestrai, costruttori di contenitori di vimini e di paglia: ceste, cestini, canestri, sporte, corbelli e setacci (su strexu de fenu). Per la confezione venivano attentamente scelti gli steli del grano, quelli più lunghi e robusti e dalle stesse dimensioni. Raccolti in mazzetti di un centimetro circa di diametro, venivano avvolti coi giunchi, preparati con una tecnica particolare. Per avere un’opera a regola d’arte, bisognava rispettare a puntino il procedimento di preparazione e di confezione. Parte importante dei cesti di paglia erano appunto i giunchi, che venivano raccolti nelle prime settimane di luglio e preparati con meticolosità. Bisognava infatti “domarli” (a mùlliri jùncu), quando ancora erano freschi, piegandoli intorno ad un tronchetto liscio da una parte  e dall’altra, oppure con uno stesso giunco già “domato”, annodato alla vita o ad una coscia come un laccio, sul quale venivano fatti scorrere, ad uno, ad uno, piegandoli, da una parte e dall’altra i giunchi vergini. I giunchi resi così duttili e resistenti, venivano conservati in luogo asciutto e protetto. Oltre che per le ceste di paglia essi servivano anche per intrecciare le canne dei graticci (is cannitzàdas), come base per le tegole negli spioventi dei tetti. Vi erano poi i contenitori, costruiti con stecche di canna (le canne venivano spaccate nella loro lunghezza con precisione e suddivise in stecche della dimensione di circa 7/8 millimetri di larghezza), intrecciate con malleabili ma resistentissimi virgulti di olivastro: ceste, cestini, canestri, gerle, per lo più usate per la vendemmia. Ancor più stimati erano i fabbricanti di stoviglie e vari utensili di legno: mestoli, cucchiai, taglieri e pale da forno (tùrras e cullèras e talléris e palas de forru). Ai primi di settembre, di buon mattino, le strade dei paesi si riempivano di cantilene e nenie melodiose (anche il canto aveva la sua importanza); e tu vedevi quegli uomini carichi di canestri e cesti di vimini e di canne, con le sacche di orbace (is bértulas) piene di mestoli e cucchiai di legno: “ E tùrras e talléris e palas de forru…e cullèras. Cullèras bollit, sa mèri? Comporài cilìrus, scartèddus, crobis e canistèddas…dha pigat sa crobèdda…sa mèri”? I centri minerari di Arbus, Guspini, Gonnosfanadiga, Villacidro, San Gavino, Iglesias, Carbonia ed altri erano i posti migliori  per piazzare i manufatti, poiché in questi paesi c’erano i soldi e i minatori non subivano la scadenza del contratto ed il pericolo che questo non venisse rinnovato ed avevano le ferie pagate, anche se in verità subivano la devastante polvere di silicio nei loro polmoni, il lavoro duro e massacrante nelle cave o ancor peggio a centinaia di metri sottoterra. I lavoratori della terra invidiavano la sicurezza del lavoro ed il relativo benessere economico degli operai delle miniere, più che a spaccarsi la testa con la falce e la zappa, sotto il sole cocente o il gelido maestrale. I minatori di rimando sognavano la vita ed il lavoro all’aria aperta ed al sole, più che avere i polmoni squarciati dalla micidiale polvere di silicio. Ma, a dir la verità né gli uni, né gli altri avrebbero rinunciato alla propria comunque penosa situazione!

Il “canto” dei rivenditori di “su stréxu de fénu e turras e talleris e palas de forru”non si sente più e sembrano passati secoli, anche se in verità sono trascorsi pochi decenni. Ancora oggi, comunque, nelle bancarelle delle sagre paesane è possibile ammirare i “capolavori” di quelli artisti estemporanei.

La prima domenica d’Agosto a Villacidro si festeggia San Sisinnio (Santu Sisìnni), il santo canterino, che sin da giovane predicò e diffuse con entusiasmo la fede cristiana. La sua meravigliosa voce l’aiutò nei suoi intenti, ma non gli servì ad evitare  il martirio, avvenuto nell’anno185 d. C. all’età di 62 anni, al tempo dell’imperatore Marco Aurelio. Intonò canti anche sul patibolo e si tramanda che persino i suoi carnefici fossero rimasti fortemente turbati dal suo melodioso canto.

3 Agosto 1945 – Mentre sta per terminare definitivamente il secondo conflitto mondiale, che per l’Italia è già terminato il 25 aprile, nella battigia di una piccola ma bellissima spiaggia della costa sud occidentale sarda, a S’Acqua Durci, esplode un ordigno di guerra (una mina marina secondo alcuni, un proiettile di grosso calibro di cannone, secondo altri) manipolato da due giovani che credevano di essere esperti. Lo scoppio dell’ordigno causò una vera e propria strage, che ancora oggi, a distanza di oltre mezzo secolo, rimane tristemente vivo nella mente dei Gonnesi e dei Guspinesi. Ben 16 persone, di cui 11 di Gonnosfanadiga e 5 di Guspini furono letteralmente ridotte in brandelli. S’Acqua Durci, soprattutto per la presenza della rinomata omonima sorgente, era meta estiva per molte famigliole dei paesi vicini, Arbus, Guspini e Gonnosfanadiga. Si andava coi carri a buoi, quando ancora non c’erano i mezzi di trasporto a motore.

Su mari de is poburus

A mari andàd’ a carru a fai arròliu

a groffus de istadi a si pasiai sa genti

in s’acqua limpia e s’aréni callénti

pagu si ndi biat catramu e pedròliu.

 Candu su trigude is campus fiat messau,

Mest’’e muru, minadori treballu lassànta,

mest’’e linna e frau buttèga serrànta;

s’Acqua Durci,Portixéddu, Santu Nicolau,

Tunnària, Gùtturu, Piscinas ‘e Ingurtosu,

si preniant de tendas e barràccas

fattas cun mantas bèccias e cun sàccas

e po sa genti fiat spàssiu  e riposu.

E dhus-u biast andendi abéllu, abéllu

 a carr’’e bois cun tottu is allayòus,

 sonu intendiast ‘e pinjàdas e pitiòus

 e de is pippìus avàttu su budréllu.

A torrai agattai s’antiga cunpanjìa,

su messaiu, s’artijanu e su minadòri,

sentzend’in sa friscùra in paxi y amòri

cun tottu sa cambaràda in allirghìa.

 A contai fattus de treballu e de mundu

asutt’’e is umbràgus de sàccus e de cànna

cun pagus cosas faiant festa mànna:

gioghendi is pippius, e is mannus in tùndu.

 E po tottus fiat sa cosa disijàda:

po is giovunèddus arribàt s’occasiòni

de agattai unu bellu furrungòni

po si fai sa primu apprapuddàda.

 De aici su poburu passàt s’istàdi;

in su mericéddusu soli a ponénti

lassàt in s’acqua una tìra luxénti

 a benexi cussa paxi e trankillidàdi.

 Sulléna sa notti, de prata is istellas

portànt is disìjus de is innamoràus:

is pippius stasìus fiant jài croccàus,

is mannus passànt is horas prus bellas.

 Sa cida appustis ‘e Santa Maria,

biast sciuscéndi barràcas e umbràgus

e cuncodréndi is bois cu is odrinàgus

po sa partentzia de sa cumpanjìa.

 Fiat tristùra po cussa cambaràda:

su mari kietu, sintzillu e luxénti

castiendi spantàu tottu cussa génti

speràt ki in annu infatti éssat torràda.

 Tottu furriàt a su stadu de natura

arèsti, sintzilla, limpia, indoràda

parriat una terra de sempri lassàda:

s’areni de oru, su birdi in artùra!

 Aici est abarràu annus milla e milla,

aici hanti connòtu puru ayayu e babbu,

ma tott’is cosas bellas tenit accàbbu:

prenu est imou de catramu e de sìlla.

 Barràcas e umbràgus hat imou sciusciàu

su mèri nou beniu de continénti

nci hat bogàu de mari sa pobura génti

de ciument’ e ferru su logu hat impestàu.

 E de is politicantis hat prenu sa ‘ùdda:

“No pràngiast poburu ki àndas de mali in péus,

is benis de su célu t’hat lassàu Déus;

ita dhi fait ki in terra no tenis nùdda”?

 A mari andàt a càrru a fai arròliu,

a groffus de istadi a si pasiai sa génti

 a s’acqua frisca e a s’aréni callénti,

ki imou est prena de catramu e de pedròliu!

 Traduzione (letterale) in italiano.

IL mare dei poveri.

Al mare andava coi carri in comitiva

In piena estate a riposar la gente,

nell’acqua limpida e la sabbia calda

non vedevi certo catrame o petrolio.

Quando il grano dei campi era mietuto,

muratore e minatore finivano il lavoro,

falegname e fabbro chiudevano bottega;

S’Acqua Durci, Portixèddu, Santu Nicolau,

Tunnaria, Gutturu e Piscinas di Ingurtosu *

si riempivano di varie tende e ombreggi

costruite con vecchie coperte e con sacchi

e per la gente era spasso e riposo.

Tu li vedevi andare lentamente

coi carri a buoi con ogni cianfrusaglia

sentivi il suono di pentole e  sonagli

 e dei bambini dietro il chiacchierio.

A ritrovare l’antica compagnia

Il massaio, l’artigiano, il minatore,

sedendo al fresco in pace ed amore,

con tutta la comitiva in allegria.

A raccontare fatti di lavoro e del mondo

Sotto gli ombreggi di sacchi e di canne

Con poca spesa  facevano gran festa:

giocando i bimbi e gli adulti in tondo.

E per tutti era la cosa desiderata:

per gli adolescenti arrivava l’occasione

di trovarsi un piccolo cantuccio

per scambiarsi le prime carezze.

Così il povero trascorreva l’estate:

all’imbrunire il sole a ponente

segnava in mare una fascia lucente

a consacrare quella armoniosa pace.

Serena la notte, d’argento le stelle

custodivano i desideri degli innamorati:

 i bimbi spossati erano già nei giacigli,

gli adulti trascorrevano le ore più belle!

La settimana dopo Santa Maria

li vedevi smontare tende e ombreggi

e aggiogare i buoi ai carri

per la partenza della compagnia.

Era tristezza per quella comitiva:

il mare calmo, pulito, lucente

osservava stupito tutta quella gente

sperando il ritorno alla successiva estate.

Tutto rientrava nello stato di natura,

selvaggia, pulita, limpida, lucente,

sembrava un luogo incontaminato,

la sabbia dorata, il verde più in alto.

Così è rimasto per anni mille e mille,

 così l’han conosciuto nonno e babbo,

ma tutte le belle cose hanno una fine:

ora è tutto pieno di residui oleosi!

Tende e ombreggi non vuole più

il nuovo padrone venuto dal continente,

ha mandato via la povera gente,

ha colmato il posto di cemento e ferro!

E dei politicanti ha riempito la ghirba:

“Non lagnarti o povero se vai di male in peggio,

i beni del cielo  ti ha riservato Dio,

che importa se qui in terra non hai niente”?

Al mare andava coi carri in comitiva

In piena estate a riposar la gente,

nell’acqua limpida e la sabbia calda,

che ora è piena di catrame e petrolio!

* sono splendide località della Costa Verde: un tempo erano senz’altro molto più belle!!!

 

15 Agosto – Festa di Santa Maria a Guspini. È la festa religiosa e popolare più importante per gli abitanti di Guspini: in questo borgo, da tempo immemorabile, dal 14 al 22 Agosto, hanno luogo i festeggiamenti in onore di Santa Maria Assunta “La Dormiente”. Un comitato cittadino, rinnovato di anno in anno, si assume l’impegno di far rivivere le antiche tradizioni, anche a costo di grandi sacrifici. Di recente, poco prima di raggiungere il creatore, il parroco monsignor Salvatore Spettu, propose alla curia vescovile della Diocesi di Ales – Terralba di rendere “Giubilare” la chiesa di Santa Maria di Guspini, almeno per gli otto giorni dei festeggiamenti, in modo che la festa diventasse insieme il Giubileo dei Guspinesi.

Nella terza domenica d’Agosto, Villamar festeggia in onore della Beata Vergine d’Itria (Madonna col Bambino). Il culto della Madonna d’Itria, o Odegìtria o di Costantinopoli è diffuso in molti paesi soprattutto del Campidano di Sardegna. Riecheggia la concessione della libertà religiosa ai cristiani dell’imperatore Costantino, con l’Editto di Milano dell’anno 313. Tale culto giunse in Sardegna probabilmente con l’arrivo dei monaci bizantini, ma alcuni studiosi asseriscono che il culto della Vergine col Bambino fosse assai vivo anche a Roma e nelle catacombe, nel periodo della clandestinità cristiana. Secondo la testimonianza di un certo Teodoro(III°-IV° sec.) nelle catacombe veniva custodito un bellissimo dipinto, opera di San Luca Evangelista, raffigurante l’immagine della Madonna col Bambino: - “ Imago Beatae Mariae, quae habebat in braccio infantem Jesum, quam dipinserat in tabula Sanctus Lucas, ut dicitur, cum adhuc viveret Maria”. – Sulla vera esistenza del dipinto abbiamo diverse testimonianze, tra cui il dipinto di Domenico Cresti, detto il Passignano (1559 – 1636) “San Luca dipinge la Vergine” – Galleria degli Uffizi – Firenze.

Dalla storia della chiesa apprendiamo che il dipinto fu donato dal papa San Silvestro alla madre dell’imperatore Costantino Elena Augusta, convertitasi al cristianesimo, che ebbe grande influenza sul figlio. Il prezioso quadro di San Luca fu portato dall’imperatore a Costantinopoli. Pare che in seguito l’imperatrice Eudossia o Eudocia abbia voluto rendere onore al dipinto e alla Madre di Dio in esso rappresentata, costruendo nella capitale dell’Impero d’Oriente, una chiesa in onore della Vergine Maria, soprannominandola “Madre di Costantinopoli e Odigitria, per ricordare il miracolo avvenuto nella chiesa per due ciechi, che implorando il nome di Maria, riebbero la vista.

Il 21 Agosto è la festa di San Lussorio ad Arbus (Santu Lusciòri o Luxòri). È un santo venerato in molti paesi della Sardegna. Il centro abitato di Santu Lussurgiu porta da sempre il suo nome. La testimonianza scritta di papa San Gregorio Magno, che risale al 599 d. C. , porta il nome di Fordongianus (Forum Traiani) come luogo del suo martirio. Luogo che invece si contende Selargius per l’esecuzione  della condanna. Si dice che il santo avesse dimorato nei seguenti altri paesi, nei quali è maggiormente festeggiato: Arbus, Pabillonis, Oliena, Aggius, Gairo, Montresta e Musei. A Romana la tradizione vuole che il santo abbia dimorato, per diverso tempo, in una grotta, detta appunto, Grotta di San Lussorio.

Il racconto del mese:

Su bisu de ua notti de metad’’e austu (de s’annu duamilaenoi).

No accuntèssi fisciu de arregodai beni is bisus de una notti, poita candu ti ndi sciumbùllas, t’abarrat in conca un ammésturu ki no tenit ni inghitzu e ni accàbu.

Propiu sa notti prima de su éspuru de Santa Maria esti capitau a mimi u’ bisu ki m’esti abarrau in sa memoria tottu cantu: unu bisu strambéccu, ma ki bollit nai medas cosas, desinuncas no tenìa arrejòni de si dhu contai!

“Andaus a Guspini, a su de Ruggeri, o Peppi, ca mi serbidi una pariga de cussas scatuleddas de plastica po arreguai sa cos’’e pappai in su frizer – m’hat nau pobidda mia, Adriana - nd’approfittaus e candu passaus, comporaus u’ paghedd’’e pisci friscu in sa piskeria de via Carbonia”! “Eia, eia - happu arrespostu – andaus puru”! Sa beridàdi esti ca tenia gana de nci bessiri deu puru, u’ pagheddu, straccu de abarrai acconcau anant’’e su computer e sfollendi is liburus de s’antighidadi de sa terra nosta, po scrucculai asub’’e is sangunaus sadrus e de is nominis de is biddas e de is logus de custa terra. Ki, a nai sa beridadi, esti su stentu miu prus bellu de candu seu andau in pentzioni.

Seus partìus de Gonnus e appustis cincui o ses minutus fiaus jai in Guspini. Passendi in Via Carbonia Adriana m’hat arregodàu su pisci, ma: “Dhu comporaus candu torraus a passai – hat acciuntu – deghinou ki dhu lassaus in sa makina, in su mentris ki fadeus is ateras cummessionis, cun sa basca ki esti, dhu agattaus jai còttu”! “Hellus”! Happ’arrespostu.

Seus intraus a ITER de Ruggeri e pobidda mia s’esti posta in pressi a circai cussu ki dhi serbiat, e deu inveci happu arroncillàu perilì e perilà, scrucculendi, ma cun sa menti mia fia pentzendi puru a tottu is cosas de politica ki fiant succedendi in Italia, a is hominis politicus ki inveci de pentzai a is abisonjus de su populu, pentzant fetti de arreguai sa cadira ki tenint e certant pari, pari po is-a  strollikidàdis prus mannas, ki no nci bintrant propiu ke nudda cun is abisonjus de is poburus e prus ke tottu cun s’abisonju de treballu de is jovunus sardus, ki s’ndi deppint andai in Terramanna, po agattai treballu, attesu de sa terra insoru. Castia inoi, castia ingudeni, happu appubau unu bellu serroni: “Kigau damuniu! – mi seu fatu – custu serroni andat beni, beni po ndi serronai is nais bèccias de is mattas’’e s’olia”! Dh’’appu pigau in manus, tokkendi s’atza: “Bellu, bellu, esti propiu su ki fia cirkendi”! Nau sa beridadi ca in cussu momentu fiat pentzendi prus ke a is mattas de s’olia de s’olivarieddu ki tengu, a un’atera Matta de Olia. Ndi dh’happu arregòttu e fia puru arrejonèndi:”Hat a bastai a  ndi serronai is nais beccias a sa Matt’’e s’Olia o m’hat a cumbeni a portai sa motoserra, ca jei dha tengu in domu e bella e manna puru! Ma – happu pentzau – di onaus tempus e ki bieus ca sa matta no torrat a pigai beni, dha pudaus a ingruxadùra, a motoserra”! Esti approbiàda pobidda mia: “Andaus, andaus – m’hat nau – ca su fia cirkendi no dh’’appu agattàu, e de cussu serroni ki portas in manus ita ndi deppis fai”? “Mi serbit po fai una cosa, jei ti d’happ’a nai”! Nci seus bessius de su de Ruggeri e propiu de fronti, ingunis, in su pratzali ki do-y esti, eus appubau unu iàxi de genti, parriat acconcàda, ascurtendi, ma no si cumprendiat beni ita do-y fiat. Si do-y accostàus po curiosidàdi, prus ke tottu! Pena ki seus arribaus accanta, accanta, una bòxi sulléna e connòta, nos’hat itzerriau: “ Benei, benei, pigai cadira, setzei accanta bosaterus puru”. Nci seus imbuccaus in mesu de sa cràcca e propiu ingunis eus appubàu una cosa stravanàda meda meda: do-y fiat in mesu propiu Berlusconi sdraiau asuba de una pankitta imboddiàda de vellùdu, simbili, mi, a is pankittas ki portànta is imperadoris romanus, e candu pappànta, ananti dhis sonànta sa musica e is baddarincas baddànta. Su prus ki m’hat spantau esti su fattu ki a su costau de su Cavalieri do-y fiat sa pobibba puru, Veronica, mi parrit ca si tzerriat, la! M’hat iscutzuàu Adriana: “Lobai, lobai, do-y esti sa pobidda puru – spantu mannu”!  Nos hanti apportu cadira e deu puru e pobidda mia si seus setzius, accanta, accanta abini iat nau ca si deppiaus setzi, su Cavalieri. Ananti de sa pankitta no do-y fiant is sonadoris e is baddarincas, ma do-y fiant hominis politigus de omnya parti politiga, e fiant discutendi de is cosas importantis ki si iant a deppi fai po custa terra nosta malassortàda de Sardinia. E si seus setzius me is cadìras ki nos’hant appòrtu, ca sa discussioni fiat meda importanti. Deu, a nai sa beridàdi, tenia u’ paghèddu de scinitzu poita no iscìa abini poni su serròni, ca fiat matukkèddu puru, e insaras dh’happu postu me in sa cadìra asutta de is nadias, ma un arrògu de sa lamma ndi sartàt a foras, e medas teniant is ogus furriaus a inguni. Parriat fattu a posta, fiaus puru accànta, accànta de su Cavalieri e de sa pobidda.

E cantu cosas bellas fiant narendi, po custa terra nosta e poi s jovunus nostus abbisonjosus de trebàllu. Mai, deppu nai, in sa vida mia, ia biu o intendiu hominis politigus de parti e de atra arrejonendi de aici beni. E tottu sa genti ingunis fiat ascurtendi prexàda e sullèna!  “Balla, balla! – mi seu fatu – cust’orta nci seus in su seriu. No hiappai mai cretiu ca su Cavalieri nci essat arrenésciu a poni in pari e in paxi is hominis politigus de parti e de atra. Balla, balla, ita cosa bella”!

A metadi, naréus, de su dibattitu politigu, funti bessidas una pariga de sennoriccas, tottus bellixèddas, cun safàttas prenas, e hanti donau a tottus drucis sadrus, ammarettus, biankinus, gueffus, tzipulas,  parafrittus, pani ‘e sàba, pirikittus, e atrus e tassas prenas de aranciata, coca cola, birra, e tassixèddas de binu: cannonau, nuragus fiore, mona e vermentinu: balla, balla, una Festa Manna”! Eus pappau e buffau tottus cantu!

Prima de incumentzai sa segunda parti de sa discussioni politiga, sa parti prus importanti de tottu sa pinnìca, esti appàrria una sennorìcca, ma bellixèdda, balla! bellixèdda deaderus. Portàda una scòvua, bella e manna, po ndi pinnicài tottu sa burrumbàlla ki fiat in terra: papperèddus, tassa de plastica, ciccas de sigaretta e s’atra àliga, abarràda de su mùrzu. Issa s’esti posta a scovuài, ma portàda sa scovua a s’imbrèssi, cun su truncu in basciu e sa scovua in susu, là! Mai dhu essat fattu: cussus hominis politigus ki prima fiant arrejonèndi deaderus de is cosas importantis de sa politiga, hanti cumentzau a criticai, is unus: “Ma castia pagu, pagu, cussa picciòcca esti scovuendi a truncu in basciu e scovua in susu”!...is aterus: “ Omnyunu esti meri de scovuai accumenti dhi parrit e praxit”!...is unus: “Ma custa no esti sa manèra justa, esti contras a sa logica e a sa morali”!... is aterus: “E poita, de aici puru si podit scovuai, si a issa de aici dhi andat beni… su ki dhi praxit lassaus fai”! …is unus: “Ma sa politica nosta narat ca si depit scovuai in su modu ki conosceus, berus, e insaras no andat beni”!...is aterus: “ No andat beni a bosaterus, ca seis arrettràus, y a nosu invecis, ca seus progressistas jei nosi andat beni”!

Kigau damuniu! hanti incumentzàu a certai tra de icussus e nd’esti bessiu u’ matzamùrru de is tiaus, pagu nci ammancàda de ndi bessìri u’ occidròxu. Sa genti ki do-y fiat ascurtèndi hat allikidiu su logu e de pressi puru. Is hominis politigus straccus de si ndi tirai is ogus pari, pari e de si ndi nai de omnya cabori…fiant accànta, accànta de s’accarrabullai cumenti ‘e canis scappiaus ‘e cadèna, hanti attuàu su strexu cussus puru e andaus si ndi funti, lassendi a cuddu poburu Cavalieri a solu, a solu, cun sa pobidda…e deu e pobidda mia puru, accànta ingunis, no isciaiaus ita stoccàda podi fai!!!

Cuddu poburu Cavalieri, grogu ke sa xèra, de su spantu e de s’atzikidu puru, hat castiau a mimi e prus ke tottu a su serròni, ki portàa incosciau in sa cadira e si nd’esti saddìu paris: “E tui – m’hat nau, tìmi, tìmi, ita intenzioni tenis, cun cussu serròni”? “Oh! no si pighit timorìa su Cavalieri, ca su serroni fiat po fai una cosa ki tenia meda a coru. Fiat po pudai sa Matta de s’Olia de is nais bèccias, ma imoi mi ndi seu accatàu ca mi nci bolit sa motoserra po dha ingruxài, de aici nc’esti sa sperantzia ki torrit a pillonai de bellu e nou…Deus bollat e Santa Barbara Meraculosa nos’ajudit”! O su Cavalieri, biu hadi?  Po una scovuàda, ma propiu po una scovuàda funti andaus in oramàla tottus is bellus progettus ki hanti nau, po sanai o a assumancu po allebiai is trumentus, is timorias, is penas, is daboris, de sa pobura genti de custu logu. Invercis esti bastàda una scovuàda, mali fatta o beni fatta no dhu scìu,  po sciusciai tottu. Maladitta siat sa sorti mala ki no lassat prus custa pobura genti”! O su Cavalieri custu serròni a mimi no serbit prus, dhu donu a fusteti, ca ndi podit serbìri po fai una cosa bella, ma bella in su seriu. Lèrat, ca custu esti bellu e mannu, e porta atza bella e segat kesciadosus, pighidhìddu ca dhi podit serbìri po ndi segai is tàccias”!

Torraus a sa makina deu e pobidda mia eus pigau sa ia po nci torrai a bidda nosta. Passendi in via Carbonia si seus arregodàus de su pisci, ma sa piskeria fiat oramai serràda. “Oramàla ki andint politigus, scovuàdas, serrònis e pisci puru, -  s’est fata mullèri mia – andaus, jei s’eus arrangiài po su pràngiu, berus”? “Hellus – happ’arrespostu – a maròlla nosi toccat, ma has a beni a biri ca sa dì o s’atra, nd’eus a bessìri de-y custa cugùrra, Santa Bràbara meraculosa nos ajùdit”!

Arribàus a domu, d’eus incumentzàda e acabbàda a pani e càsu e binu a ràsu!

Peppi

Traduzione (letterale) in italiano.

Sogno di una notte di metà Agosto(13/14 agosto dell’anno 2009).

Non capita spesso di ricordare a puntino i sogni di una notte, poiché quando ti svegli, ti rimane in testa un groviglio senza inizio e senza fine.

Proprio la notte prima della vigilia di Santa Maria ho fatto un sogno, che mi è rimasto interamente nella mente: un sogno strambo, ma pieno di significato, altrimenti non avrei motivo di raccontarvelo.

“Andiamo a Guspini, da Iter di Ruggeri, o Peppe, poiché ho necessità di prendere alcuni contenitori di plastica per il frizer – m’ha chiesto mia moglie Adriana, – ne approfittiamo e quando passiamo, compriamo un po’ di pesci freschi, nella pescheria di via Carbonia”! “ Eia, Eia - ho risposto – andiamo pure”! In verità avevo voglia di sgranchirmi le gambe, stanco di rimanere “accovacciato” davanti al computer e sfogliando i libri delle cose antiche della nostra terra, indagando sui cognomi sardi e sui nomi dei paesi e dei luoghi di questa terra. A dir la verità queste cose sono il mio passatempo preferito, da quando sono a riposo.

Siamo partiti da Gonnosfanadiga  e dopo 5 o 6 muniti eravamo già a Guspini. Passando appunto per via Carbonia, Adriana m’ha ricordato i pesci, ma: “ Li compriamo al rientro – ha aggiunto-  altrimenti se li lasciamo in macchina, nel frattempo che noi facciamo le altre commissioni, col caldo torrido che fa, li troviamo già cotti”! “Per  certo”! Ho risposto.

Siamo entrati da Iter di Ruggeri e mia moglie ha cercato in fretta quanto le serviva ed  io invece ho bighellonato di qua e di là, osservando tutto, ma con la mente rivolta a tutte le cose che stanno avvenendo in Italia riguardo alla politica, agli uomini politici che più che pensare ai bisogni della gente, pensano soltanto a conservare la sedia e litigano tra di loro per le fesserie più grosse, che poco hanno a che fare coi bisogni dei poveri e soprattutto con bisogno di lavoro dei giovani sardi, che devono emigrare in Continente per trovare un’occupazione, lontano dalla propria terra.

Guarda qui, osserva là, ho intravisto un bel segaccio: “Per tutti i diavoli – mi sono detto – questo segaccio va proprio bene per tagliare i rami vecchi degli ulivi”! L’ho preso in mano tastandone il filo: “Bene, bene, è proprio quello che stavo cercando”! Dico la verità, in quel momento stavo pensando più che agli ulivi del mio uliveto, ad un altro Ulivo. L’ho preso riflettendo: “ Ma basterà tagliare i rami vecchi dell’Ulivo o converrà portare la motosega: ce l’ho a casa  e bella e grande”! Ripensandoci, ho aggiunto: “Gli diamo tempo e se vediamo che l’albero non da nuovi germogli, lo

 potiamo radicalmente con la motosega”!

Mi si è avvicinata mia moglie: “ Andiamo su – ha detto – quello che cercavo non l’ho trovato…e di quel segaccio che hai in mano che devi fare”? “ Mi serve per una cosa, te lo dirò”!

Siamo usciti da Iter di Ruggeri e proprio li, nella piazzetta di fronte, abbiamo intravisto tanta gente, sembrava che ascoltasse attentamente, ma non si capiva bene che cosa ci fosse. “Va bene che qui a Guspini sono cominciati i festeggiamenti in onore di Santa Maria, ma la curiosità è proprio forte”!

Ci siamo avvicinati alla folla e subito una voce conosciuta con serenità ci ha chiamato: “ Venite avanti, prendete posto anche voi”! Siamo entrati nel bel mezzo della calca e proprio lì abbiamo visto una cosa veramente strabiliante: c’era proprio lì al centro l’onorevole “Berlusconi”, sdraiato sopra  una panchina imbottita di velluto, simile, mi, alle panchine che usavano gli imperatori romani, quando mangiavano e davanti suonavano la musica e le ballerine danzavano. Ciò che più mi ha meravigliato è il fatto che a fianco al Cavaliere c’era pure la moglie, Veronica, mi sembra che si chiami. M’ha toccato col gomito Adriana: “ Guarda, guarda, c’è pure la moglie, che sorpresa”!

Ci hanno dato una sedia a testa e pure io e mia moglie ci siamo accomodati vicino, vicino, dove aveva indicato di sederci il Cavaliere. Davanti alla panchina non c’erano suonatori e ballerine, ma uomini politici di tutti gli schieramenti e stavano discutendo delle cose importanti che necessitano di essere portate avanti per questa nostra terra sfortunata di Sardegna. La discussione era oltremodo importante. Io, a dir la verità, ero fortemente turbato, perché non sapevo dove nascondere il segaccio: era tra l’altro abbastanza appariscente. Ho deciso quindi di metterlo nella sedia sotto il sedere, ma un bel pezzo della lama fuoriusciva e molti avevano lo sguardo rivolto proprio lì. Sembrava una cosa macchinata: eravamo inoltre vicini, vicini al Cavaliere ed alla moglie.

E di quante cose buone stavano discutendo: per questa nostra terra e per i giovani bisognosi del posta di lavoro. Mai, che io ricordi, ho visto e sentito uomini politici di parte e d’altra discutendo di cose così interessanti. E tutta la gente stava là ad ascoltare contenta e serena. “Perbacco – mi sono detto – stavolta facciamo sul serio”! Non avrei mai creduto che il Cavaliere riuscisse a mettere insieme ed in pace gli uomini politici dei vari schieramenti. “Perbacco, una cosa veramente grande”!

A metà, circa, del dibattito politico, è apparso un gruppo di belle ragazze, che, con vassoi pieni, hanno distribuito a tutti i presenti dolci tipici sardi: ammaretti, bianchini, dolci di mandorle, zeppole, ciambelle, pane di sapa, biscotti e tanti altri, e bicchieri pieni di aranciata, coca cola, birra, e bicchierini di vino cannonau, nuragus fiore, monica e vermentino. “Perbacco, una Grande Festa”! Abbiamo mangiato e bevuto tutti insieme.

Prima di iniziare la seconda parte del dibattito politico, la parte più importante dell’assemblea, è apparsa una bella ragazza, perbacco, bellina veramente! Portava una scopa bella e grande, per raccogliere i rifiuti del rinfresco: carta varia, tazze di plastica, cicche di sigaretta a altra immondezza rimasta a terra dallo spuntino. Lei si è messa a scopare, tranquillamente, ma portava la scopa a rovescio, col manico a terra e la scopa in alto. Mai l’avesse fatto! Quelli uomini politici, che prima d’amore e d’accordo stavano discutendo delle cose veramente importanti della politica, hanno incominciato a mettere in discussione la cosa. Gli uni: “ Ma guarda un po’ quella ragazza sta scopando col manico giù e la scopa su”! Gli altri: “ Ognuno è padrone di scopare come gli pare e piace”! Gli uni: “ Ma questo non è il modo giusto ed è contro la logica e la morale”! Gli altri: “ E perché, si può scopare anche così, se a lei va bene in questo modo, lasciamole fare come vuole”! Gli uni: “ Ma la nostra politica dice che si deve scopare nel modo che tutti conosciamo e così non va bene”! Gli altri: “ Non va bene a voi, che siete arretrati e conservatori, a noi invece, che siamo progressisti, va bene così”!

Per tutti i diavoli, hanno incominciato a litigare tra di loro e ne è uscito un diabolico guazzabuglio! Poco è mancato che ne uscisse un ecatombe. La gente che stava li ad ascoltare tranquillamente, se ne è andata via ed anche in fretta! Pure gli uomini politici di tutte le parti politiche, stanchi di “cavarsi gli occhi” a vicenda e di accapigliarsi come cani “usciti di catena”, hanno levato in fretta la loro presenza, lasciando il povero Cavaliere solo, solo, con la moglie…Ed io e mia moglie rimasti lì non sapevamo proprio che “pesci” pigliare! Quel povero Cavaliere, giallo come la cera, per  l’apprensione e lo spavento, ha rivolto lo sguardo verso di me e più che altro al segaccio che avevo sotto le natiche e si è sgomentato ancora di più: “ E tu, che intenzioni hai con quel segaccio”? “Oh, non si preoccupi Cavaliere, il segaccio l’ho comprato per fare una cosa che tenevo tanto a cuore. Avevo l’intenzione di sfrondare dei rami vecchi l’Ulivo, ma mi sono accorto che ho bisogno della motosega per fare un taglio radicale, così che possa germogliare tutto a nuovo, che Dio lo voglia e Santa Barbara dei miracoli ci aiuti! Ha visto, Cavaliere, per una scopata, ma proprio una banale scopata, fatta male o fatta bene, non lo so, sono andati in malora tutti i buoni progetti, di cui si discuteva, per sanare o almeno per alleggerire le paure, le sofferenze, le pene, i dolori, della povera gente di questo posto. Invece è bastata una semplice maledetta scopata, a  mandare tutto in frantumi! Deprecabile malasorte, che non lascia più questa povera gente! Cavaliere! Questo segaccio a me non serve più ormai, lo do a vossignoria, poiché con questo può fare una bellissima cosa, ma bella veramente. Guardi come è bello e grande e ben affilato e taglia veramente. Lo prenda, di grazia, con questo potrà veramente e seriamente tagliare le tasse”!

Siamo tornati al parcheggio io e mia moglie e saliti nella Skoda per rientrare in paese. Passando in via Carbonia ci siamo ricordati dei pesci, ma la pescheria era ormai chiusa. “ Che vadano in malora politici, scopate, segaccio ed anche i pesci – ha soggiunto mia moglie – andiamo, andiamo, per il pranzo ci arrangeremo, vero”? “Certamente – ho risposto – volenti o nolenti ci viene così, ma vedrai, verrà il giorno in cui usciremo da questa situazione catastrofica…che Santa Barbara dei miracoli ci venga in aiuto”!

Siamo arrivati a casa, abbiamo incominciato e finito il pranzo con pane e formaggio e vino a (raso) bicchieri pieni!

Peppe

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