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ALMANACCO-settembre

Settembre = Cabudànni.

Cabudànni viene dal latino caput anni, che significa inizio dell’anno, lavorativo s’intende, secondo la tradizione bizantina, che tanta influenza ebbe ed ha ancora, nella economia, nella religione e nella cultura, in genere, dei sardi. Il nuovo anno agricolo iniziava esattamente l’8 settembre,  o meglio dopo le prime piogge, con la predisposizione dei campi per l’aratura e quindi per la semina.

Da un libro del 1780, avente per titolo: “Agricoltura di Sardegna”  del Cavaliere Dottor Andrea Manca, sassarese, apprendiamo la classificazione delle terre in Sardegna: - I terreni di Sardegna, tanto nei monti, come nelle pianure e valli, o sono dolci, cioè soffici, o forti: si suddividono i forti in argillosi rossi, in sabbiosi, in negri, in mischiati (e di quelli negri  mischiati un altro forte veniva nominato in sardo “lozzàna”), in sassosi e pietrosi, in grassi e magri, acquosi e secchi, caldi e canalini, contenendosi in questi rovine di villaggi distrutti, denominati dai sardi “biddàtzas”, e le capanne di mandre disfatte, chiamate in volgare sardo “cuilàtzos”. I terreni soffici si suddividono in grossi e sottili, cioè di poca terra, in cretosi, pietrosi, sassosi, magri e grassi, siccome abbiamo detto dei forti, mentre la differenza tra dolci e forti solo è che questi sono più consistenti, si maneggiano difficilmente in paragone dei dolci o soffici”-

La preparazione delle terre si faceva con la zappa (sa màrra) ed era detta “a fai su narbòni” ( narbonài o meglio snarbonài, significa ripulire dalle malve(altea) e dagli altri cespugli). Il campo debbiato e quindi ripulito da cespugli ed erbacce era quindi pronto per l’aratura: narbòni = arvum necdum satum (terreno non ancora seminato). Ma prima della semina il campo veniva preparato a puntino: si facevano i solchi ed il solco principale o di raccolta delle acque piovane. Questo procedimento era detto fàgher o fài sa dòa o sa dòga. Si tratta appunto di grosso e profondo solco, che cinge il campo seminato (oggi si chiama sa còra e si fa col trattore). Il termine dòa o doga, nella Carta de Logu ha il significato più che di gora per lo scolo delle acque piovane, quello di fascia antincendio. L’aratura in sardo è detta aramentu o meglio arinju. Veniva fatta con l’asinello, col cavallo o con la coppia di buoi, “ su jù” (dal latino iugum). Per la natura dei terreni sardi l’aratura con i buoi era quella preferita, anche per la docilità degli animali. La misura delle terre, in Sardegna, era infatti stabilita in base al lavoro giornaliero di una buona coppia di buoi, in terreni medi, cioè né troppo dolci né troppo forti. Chiaramente la durata della giornata lavorativa andava dall’alba al tramonto, con l’esclusione dell’ora per il pasto. Con una buona coppia di buoi si riusciva a seminare un tratto di terreno ( narboni = già pronto per la semina, è chiaro!) corrispondente a 40 are = 4.000 metri quadri (in sardo: corànta àras =  duas cuàrras = unu mòi de terra). Le sottomisure erano: cuàrra = 20 are – 2000 mq.; unu cuàrtu = 10 are – 1.000 mq.; unu cuartùcciu = 5 are – 5000 mq.; unu imbùdu = 2,5 are – 250 mq. Dus mois e cuàrra di terra corrispondono esattamente a 100 are = un ettaro = 10.000 mq. Nella misura delle granaglie c’era una piccola differenza, una cuàrra = 25 litri circa di granaglie (lòri o laòri). In relazione alla semina, unu mòi di grano(trìgu) 50 litri, coprivano unu mòi di terra (4.000 mq).

E' assai interessante il libro di Max Leopold Wagner, avente per titolo "La Vita Rustica", nella Sardegna del 1900. E' facilmente reperibile la copia curata da Giulio Paulis, per conto della Ilisso Edizioni.

Almanacco significa Lunario: parola che deriva da Luna.

Secondo la tradizione sarda (e non solo) la Luna, con i suoi poteri “magici”, ha grandissima influenza sulle piante, sugli animali e sugli uomini. Nei lavori dei campi i contadini ed i pastori attribuivano valori soprannaturali agli influssi lunari. Ma chi meglio dei pastori, osservando la Luna ne ha interpretato le voci, i mutamenti, i misteri, i fenomeni arcani? Chi, meglio di loro, ha saputo leggere nell’immenso libro dell’ignoto? Molti lavori di casa e soprattutto dei campi si facevano seguendo scrupolosamente le varie fasi lunari. Ad esempio: a Luna calante non si travasa il vino dalle botti, non si fa la semina, non si fanno gli innesti, ed altro. La Luna dista dalla Terra 384 mila Km. Possiamo riconoscerne la fasi da come si mostra in cielo: gobba a levante luna calante; gobba a ponente luna crescente; luna piena quando appare in tutta la sua rotonda luminosità; luna nuova quando non la vediamo. Il 21 luglio del 1969, due astronauti americani, N. Armstrong ed E. Aldrin atterrarono sulla Luna , per la prima volta nella storia dell’Umanità, per quando ci è dato di sapere; a parte i precedenti irreali arrivi, come ad esempio del cavaliere Astolfo, paladino e compagno di Orlando, al quale vuole restituire il senno perduto; così come celo rappresenta Ludovico Ariosto nell’Orlando Furioso. Vi sono varie espressioni che hanno come oggetto la Luna: avere la Luna di traverso, cioè essere nervosi, irritati = essi de luna mala – in sardo; vivere nel mondo della luna, cioè non sapere niente di quanto ci succede intorno; essere lunatico, cioè non capire niente, dare i numeri; etc. etc.

La Luna è l’astro che ha maggiormente suscitato l’ammirazione dell’uomo, sin dalle origini, e del quale ha acceso la fantasia. Insieme al sole è l’astro più cantato dai poeti, più riverito, più adorato. La dea Luna eterna compagna del dio Sole: fiaccola, luce, che di notte illumina la Terra sostituendo il suo compagno: regina Iside, sposa del sovrano celeste, Osiride. Nelle religioni antiche della Mesopotamia e soprattutto nella credenza babilonese, la Luna NANNAR, era la dea celeste, che governava la morte e la resurrezione degli dei e delle dee e della natura in genere. Nella lingua sarda esiste il termine NENNIRI E NENNARI O NANNARI, che è il grano che si mette a germogliare in vasi, nell’oscurità (ricordo che mia zia, sorella di mio padre, lo metteva sotto il letto), cosicché genera steli pallidi e sottili. Con i vasi di Nénniri adornavano gli altari il giovedì santo, per tutta la durata della passione,morte e resurrezione del Cristo. I linguisti rimandano l’etimologia di Nenniri al sostrato antico del sardo (preromano). Noi siamo convinti che la voce derivi dal babilonese Nannar, non tanto per la sostanza (la Luna), quanto invece per il significato che le accomuna.

Settembre: si torna a scuola. Scolari e studenti riprendono le “sudate carte”, la vacanza è finita! Per molti di loro la vacanza è stata non tanto bella, ma economicamente vantaggiosa: a fare il manovale, coi muratori, sotto il sole cocente, per racimolare il soldino, magari per calzoni e maglietta nuovi, e se ne avanza, per portare, almeno il sabato sera, la ragazza in pizzeria! Sotto le “cure” di più esperti manovali e di muratori che mettono a dura prova la “cultura” dei saputelli, ai quali viene riservata una sorta di penitenza o bonaria vendetta! Ecco le “battute” più comuni: - Mentre mettono il calcestruzzo ad un solaio ed il cemento coagula troppo in fretta, per il sole cocente, il muratore capo chiama a voce alta il giovane(Giovanni) manovale “studente”: “ Corri, Giovanni, vai in fretta in farmacia e ti fai dare tre chilogrammi di “ombra di campanile” (umbra de campanibi) e poi passa dal fabbro e ti fai “raddrizzare” (aderetzài)questa sacca di chiodi storti, e siccome passi davanti al negozio di ferramenta, ti fai dare tre libbre di “attesa” (stèntu). Ora subito, prima di correre dove ti ho detto, passa da mastro Augusto (un altro muratore del gruppo)e da lui ti fai dare in fretta, in fretta la “propulsione”(s’impéllida). Corri, vai perché il cemento si sta indurendo”!

Santa Greca di Decimomannu: ultima domenica di settembre. Per l’occasione il paese si riempie letteralmente di visitatori, non mancano numerosissimi i cagliaritani(borghesi), desiderosi, oltre che del ritorno alla tradizione, di assaggiare le prelibatezze dei “bidduncus” (villani): c’è veramente di che riempirsi a soddisfazione la ghirba: dal maialetto arrosto ai cefali, alle anguille, ai dolci tipici, fra cui spicca il “torrone” di mandorle, ai vini doc. Dopo aver mangiato e bevuto a sazietà e, a dir la verità, con pochi quattrini, i signori cittadini, forse per un goccio in più, si lasciano andare a considerazioni di bassa caratura, nei confronti dei “biddùncus” e cominciano a definirli, grezzi, luridi, ignoranti (caddòtzus, caddaiònis). Certi apprezzamenti, suggeriti, più che altro, da un bicchiere di vino di troppo, sono causa di risse, che spesso finiscono con diversi lividi e vari bernoccoli. Tanto è che i “bidduncus” di Decomomannu, per schernire ancor più i signori cittadini, mettevano loro in bocca la canzonetta: - “A Sant’Arèga andàus// tottu sa cambaràda// e a domu nci torràus// cun sa conca segàda”- ( -“A Santa Greca andiamo // tutta la comitiva// ed a casa rientriamo// con la testa rotta”-). Durante il viaggio di ritorno(in treno) dei cittadini in città, un bambino esclama, rivolto al genitore: “Là, là, càstia babbu, una brebei asuba de cussa matta”! “Una brebei asuba de una matta! – torrat su babbu – d’has pigàda fortzis po unu sirboni”? (“Là, guarda o babbo, una pecora sopra quel albero”! “ Una pecora sopra un albero, l’hai presa forse per un cinghiale”?

3 Settembre – San Gregorio Magno – Papa Gregorio I° è uno dei più famosi uomini della chiesa di Roma. Nel 509 fu eletto papa, dopo la morte di Pelagio II°. Gregorio I° fu un ottimo amministratore dei beni ecclesiastici e strenuo difensore del cristianesimo. Tene a bada i feroci Longobardi, anche grazie al fatto che la loro regina Teodolinda era cristiana. I rapporti con la chiesa bizantina e quindi col patriarca di Costantinopoli per quanto riguarda la cristianizzazione della Sardegna, furono abbastanza tesi, soprattutto perché Bisanzio, all’indomani della caduta dell’Impero Romano d’Occidente, occupò, si può dire,  politicamente la Sardegna ed in seguito spedì nell’isola i monaci greci, per completare l’opera di cristianizzazione già comunque iniziata dalla chiesa di Roma. E proprio perché la prima chiesa sarda cristiana fu quella romana, Gregorio Magno ebbe un occhio di riguardo per l’isola, per la quale provava grande interesse, non solo religioso. Aveva simpatia per questa terra trascurata da sempre da tutti coloro che in precedenza l’avevano amministrata. Per lui era cosa vergognosa che la popolazione di una terra italica vivesse in simili condizioni di incultura e di miseria. Ristabilì innanzitutto  la disciplina ecclesiastica, e ve ne era estremo bisogno: il clero sardo era tutto altro che esemplare. Papa Gregorio redarguì in maniera energica l’arcivescovo di Cagliari Gianuario, che si era lasciato coinvolgere da pessimi consiglieri in atti di vera e propria sopraffazione. Riuscì a riportare l’arcivescovo di Cagliari nella giusta strada: a lui volle pure che spettassero le ordinazioni degli altri vescovi di Sardegna. Riuscì persino a portare la religione cristiana nei centri abitati barbaricini, vincendo la diffidenza di quelle popolazioni, grazie anche all’aiuto del loro capo Ospitone, che, divenuto cristiano, favorì la diffusione della religione.

23 settembre – autunno – s’atònju.

S’Atònju

A tròpparas in sa ‘ia, sa bùssa a tracòlla

In su manjanéddu si bìnti is pippìus,

s’atònju est arribàu, si tòrrat a scola,

cu is fròccus nous e i grembiàlis pulìus.

Sa matt’’e sa méndula perdit sa fòlla,

cun tronus e lampus torrat su frìus,

de lantias e fròris is mortus cunsòla,

is pillonis de ĉélu funti partìus.

Su bentu ‘estu sa pruìna portat,

su sattu s’infriscat in pranu, in sèrra,

s’airi si mùrrat, su coru s’intristat

pentzendi a sa genti ki sunfrit in ghèrra:

sperantzia de paxi ‘e su mundu si scostat,

dolori e prantu abarrant in tèrra!

peppi

Traduzione (letterale) in italiano.

L’Autunno

A gruppi nella via, la borsa a tracolla,

di buon mattino tu vedi i bambini

l’autunno è arrivato si torna a scuola,

coi fiocchi nuovi e i grembiuli puliti.

Ed il mandorlo già perde le foglie,

con tuoni e lampi ritorna il freddo,

di lumi e di fiori i morti conforta,

e le rondinelle sono già partite.

Il maestrale riporta la pioggia

i salti rinfresca in piano, in collina

l’aria s’imbruna il cuor si rattrista,

pensando alla gente che soffre in guerra:

la speme di pace si discosta dal mondo,

dolore e pianto rimangon sulla Terra!

peppe

Il racconto del mese.

 

Iròrxu e su Cogu de s’Ampùdda

Ariseu o dinanti, beni no m’arregòdu, parti ca seu imbeccendi, parti ca portu carrabùsusu in conca, torrendi de Guspini, dessu treballu, assa una e mesu de meigama, pagu prus anantis dessu ponti de Terremaistus, happu biu a Irorxu, contonéri de s’ANAS, setziu me in sa coretta, sa cara ispriluxàda, parrìat ammaynàu e spantau, cumenti e ki essat biu calincuna cosa de no crei. Happu saludau, cumenti fatzu jai donnya dì e no m’hat arrespostu. “No custumat – mi seu fatu – dhu biu sempri arzìllu e mi saludat a cara prexàda e de mutzigasudra. Sa cosa no m’hat cumbintu meda; happu firmau sa makina a s’atza dessa coretta e seu torrau a cou a pei. De accànta m’esti patu appillonàu ancora de prus e spantau ke Santu Lazzaru: “ Gan mala tenis, Iròrxu – happu pregontau – ti biu da cara leggia”? Insaras ha tentu torràda. “Sètzi, o Peppi, ca ti contu su ki m’esti sutzediu imoi pag’ora”! Y hat incumentzàu: “ Scis de accumenti esti, custu treballu no esti malu meda, ma sa cosa ki prus grisu, funti custas buttiglias de imbidriu, ki sa genti nci scavulat sena de arrespéttu. Toccàda a dhas fai ‘arrògus e a nci dhas istikìri in barras  e in costas de ki nci dhas iscàvulat, su Bugìnu ndi dhis seghit sa mola de su tzugu, rasenti ‘e coddus, a serroni ingudru. Pag’ora fait, in mesu de is buttiglias happu agattàu un’ampùdda, fatta beni e bellixèdda, de imbidriu tottu pintàu. Ndi d’happu boddìta e in su mentris ki dha furrià me is manus happu appubàu aintru una cosa movendusì, parriat un omineddu, tzerriendi ajùdu. Ndi d’happu tirau su tuponéddu e …Santa Bràbara mia bella dessu célu! Nd’esti pistincàu a foras unu Cogu mannu, mannu, bistìu cumenti de cussus gurreis antigus de is terras a bentu ‘e soli, ki biaiàus me is liburus de is contus dessa scola alimentari, de Alì Babà, là e de cussas istorieddas ki nosi spassiànta meda. A pena bessìu, su Cogu, hat incumentzàu: “ No tindi atzìkisti, deu seu su Cogu dess’Ampudda; tre mila annus jùstu, justu, seu abarrau accorràu aintru de ingunis, abettendi ki calincunu m’essat abertu, e duncas, tui imoi tenis su derettu de accuntentai tres disijus, cussus ki tui creis siant is prus bellus”! Deu, o Peppi, ti nau sa beridàdi ca no credia a is ogus mius, ma happu postu menti a su ki m’hat nau su Cogu e, scis accumenti esti, fiat cade a mesudì e mesu e tenia bellu sghintzu e d’happu nau: “ O su Cogu Mannu, po primu disìju ia a bolli unu bellu prattu, accùccuru, accùccuru de mallorèddus, cundius cun bagna de tematica frisca e cun arroghèddus de petz’’e sirbòni, duas coscittas de leppiri e cun tottu is cundimentus ki scieus, berus, cumprendiu m’hadi: su tzìppiri, sa frabighèdda…”? “O Peppi, no happu accùtu de nai e “tànkidi”…unu bellu prattu de mallorèddus arrubius, callentis, fumiosus e bellus e saporius accumenti no ndi ia mai pappàu! Balla, o Peppi, happu lintu su prattu puru”! “Tocca, su segundu disiju”! Hat nau insaras su Cogu e deu impressìu: “Imoi ia a bolli una bella arratàssa de binu biancu, friscu, friscu, de cussu bonu, pitzioséddu e druci, ki scint fai is binjantéris de Forru”! “Tankidi”! S’arratàssa dessu binu, bellu, friscu, pitziosu e druci. “Balla! Balla! o Peppi, insandus fia propiu appanyàu, là”! E su Cogu m’hat torrau: “ Tocca là, imoi s’urtimu disiju”! “ Corpus de aundi – mi seu fatu – o Peppi, happu appanyau sa brenti, ma imoi cun s’urtimu disiju mi deppu appanyai tottu sa vida. Nci happu pentzau beni, beni, tantis si Cogu fiat trankìllu e sulenu e no mi poniat pressi. “Lampu – mi seu fatu – custa borta sa cosa deppit essi manna, manna deaderus: “ O Signor Cogu Mannu – d’happu nau – ascurtit a mìmi. Po urtimu disiju ia a bolli unu postu de treballu bellu, ma bellu kesciadòsus: a s’airi aberta, a castiai si célu e sa natura cun tottu is bellèsas cosa sua; e candu in s’atònju, assu kitzi, sa perdìxi, cun su cantidu itzerriat is cumpanjas; e candu in s’iérru su cùccuru dessu monti si scràrat de nì; e candu, in berànu, su cantidu de is pillonis e is froris de is mattas e dessu sattu t’allìrgant su coru, de bonu manjànu; e candu, in s’istàdi, is campus s’indorant de aristas de trigu…De appustis ia a bolli ki in su trebàllu no m’essa a stancài meda e de guadanjài, no meda, ca no seu asuriòsu e nimàncu pibìncu, ma su tanti justu po mìmi e pro sa famiglia cosa mia…”!

Pena ki ia finiu de nai s’urtimu disiju, o Peppi, su Cogu mannu, mannu esti isparéssiu e s’ampùdda puru e…”Tankidi”…là, castiamì, o Peppi, castiamìdha beni, beni, seu abarràu contonéri de s’ANAS…!

Peppi

Traduzione(letterale)in italiano.

Giorgio e il Mago della lampada

Ieri o prima, non ricordo bene, sia perché sto invecchiando, sia perché la mia testa è come un alveare, mentre rientravo da Guspini dal lavoro, all’una e trenta del meriggio, poco dopo il ponte del Rio Terramaistus, ho visto Giorgio, cantoniere dell’ANAS, seduto nella cunetta, con viso sconvolto, sembrava in preda a forte stupore e spavento insieme, come se avesse visto qualcosa di incredibile. Ho salutato come faccio sempre e non mi ha risposto: “Non è sua abitudine - mi sono chiesto - lo vedo sempre arzillo e mi saluta sempre con sorriso malizioso”! Il fatto non mi ha tanto convinto, ho fermato il mezzo poco più avanti, a ridosso della carreggiata  e sono tornato indietro a piedi. Da vicino ancora di più mi è parso inebetito e strabiliato come Santo Lazzaro: “ Ti senti male, o Giorgio – ho chiesto – ti vedo malconcio”? In quel momento è rinsavito: “ Stai, Peppe, stai che ti racconto quanto poco fa mi è capitato”! Ed ha cominciato: “ Sai com’è, questo mio lavoro non è tanto spiacevole, ma la cosa che  mi irrita sono queste bottiglie di vetro che la gente getta via senza alcun rispetto. Bisognerebbe farle a pezzi  e ficcarle  nelle gengive o nei fianchi di chi le butta, che il Bogino* tagli loro il collo  con una sega arrugginita. Poco fa, però, in mezzo alle bottiglie di vetro ho trovato un’ampolla, ben lavorata e molto bella, di vetro colorato. L’ho raccolta e mentre la rigiravo tra le mani ho scorto che dentro c’era qualcosa che si muoveva, sembrava un omino che mi supplicava. Ho tolto il piccolo tappo dell’ampolla e: “ Santa Barbara mia bella del cielo”! Ne è saltato fuori un mago enorme, vestito come quei sovrani antichi delle terre d’oriente, che guardavamo nei libri di racconti della scuola elementare: di Alì Babà e di quelle storie fantastiche che ci appassionavano tanto. Appena uscito il mago ha cominciato: “ Non spaventarti, io sono il mago della lampada, per quasi tremila anni sono rimasto lì dentro nell’attesa che qualcuno mi liberasse, pertanto tu mi hai liberato e adesso hai diritto a soddisfare tre tuoi desideri, quelli che tu credi siano per te i migliori”! Io, o Peppe, ti dico la verità, non credevo ai miei occhi, ma ho dato retta a quel che mi ha detto il Mago e, sai come è, era l’ora di pranzo ed avevo tanto appetito e gli ho chiesto: “ O grande mago, per prima cosa io vorrei un bel piatto, proprio ben pieno, di “malloreddus”** , conditi con salsa di pomodori freschi, con pezzetti di carne di cinghiale, due coscette di lepre e con tutti gli ingredienti che conosciamo, vero, ci siamo capiti:  il rosmarino, il basilico…”? O Peppe, non ho terminato la frase e … “Voilà”! Un bel piatto di “malloreddus” rossi, caldi, flagranti, da favola e saporiti come mai ne avevo gustato. Perbacco, o Peppe! Ho leccato persino il piatto. “ A te per  il secondo desiderio”! Ha incalzato il mago ed io con fretta e furia: “ Adesso vorrei una bella caraffa di vino bianco, fresco a puntino, di quello buono, frizzante e dolce che sanno preparare i vignaioli di Collinas”! …*** E Voilà! La caraffa del vino, fresco, frizzante e dolce…perdindirindina! “Ah, o Peppe, ero proprio soddisfatto”! Ed il Mago ha aggiunto: “ Ora l’ultimo desiderio”! “Per la peppa”! - mi sono detto, o Peppe – ho soddisfatto ben bene la pancia, ma ora con l’ultimo desiderio devo soddisfare tutta la vita. Ho riflettuto profondamente; il Mago era tranquillo e sereno e non mi metteva fretta; perbacco, stavolta la cosa doveva essere veramente grande. “O signor Mago – ho chiesto – mi ascolti bene. Per ultimo desiderio io vorrei un ottimo posto di lavoro, ma grande veramente: all’aria aperta, da potermi godere la natura con tutte le sue cose meravigliose; e quando d’autunno, ai primi albori, la pernice col suo canto richiama le compagne; e quando d’inverno le cime delle montagne si imbiancano di neve; e quando a primavera il canto degli uccelli ed i fiori degli alberi e dei campi ti rallegrano il cuore di buon mattino; e quando d’estate i campi si riempiono di spighe dorate…Poi vorrei che il lavoro non mi stancasse troppo e che mi desse un discreto guadagno, non tanto, ché non sono né pretenzioso, né piagnucoloso, ma in quantità giusta per me e per la mia famiglia…Appena ho finito di esprimere il desiderio, o Peppe, il grande Mago è sparito e pure l’ampolla e…”Voilà”! Guardami, o Peppe, guardami bene, bene, sono rimasto cantoniere dell’ANAS…!!!

  • *        qui si intende il boia.
  • **      gnocchetti sardi - pasta tipica della Sardegna.
  • ***   Collinas piccolo paese della Marmilla (provincia del Medio Campidano), detta un tempo Forru, famosissimo per i suoi vini.

Peppe

   

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