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ZZDICIUS/c

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DICIUS/C

Caboni cantat pudda dhi mancat: il gallo canta quando gli manca una gallina. È un'espressione che si usa per indicare la persona che protesta a viva voce quando ha subito qualche torto, soprattutto da amici e parenti. Solitamente i sardi protestano solo per cose importanti e, quando succede, lo fanno energicamente.

Cambiat su sonadori, ma sa musica est sa propia: cambia il suonatore ma non la musica. Il lamento di tanti cittadini nei confronti dei nuovi amministratori, o di molti italiani nei confronti del nuovo Governo.

Cancarau siast: che ti venga un accidente da paralizzarti. Si dice anche: "Is manus cancaras portis"! "Che tu possa avere le mani anchilosate"! Quando uno ha le mani lunghe o le usa a sproposito o per prendere o toccare qualcosa che non deve, si sente spesso rivolgere questa espressione.

Candu (d)olit sa conca tottu su cropus ndi risentit: col mal di testa tutto il corpo è in pena. Si caput dolet omnia membra languent. Non c’è proverbio più veritiero di questo: ve lo dice uno che di emicrania se ne intende, suo malgrado!

Candu dha finis est tradu: quando la finisci è sempre tardi. Lo si dice allo scocciatore o al bambino che non vuole smettere di fare o di toccare una cosa, ed in molti altri simili casi.

Candu dh'arroscit jei dhu lassat: quando ne sarà stufo lo lascerà. Si dice di persona, adulto o bambino, che insiste sempre in una sua abitudine o gioco, sino alla nausea. 

Candu dhu  scint in tresi dhu scit d-onny' arresi: quando una cosa la sanno in tre la sa tutto il mondo. Le notizie, soprattutto se contengono malignità, girano in fretta anche in Sardegna, nonostante si dica che noi sardi siamo di poche parole.

Candu hat a beni Pasca Manna in jobia: quando verrà la S. Pasqua di giovedì. Cioè mai. Come dire: alle calende greche. È la frase che usa il debitore che non vuole rendere il suo debito al creditore.

Candu is canis aguriant, is berbeis si pinnicant est unu sinnu malu: quando i cani ululano e le pecore si mettono in cerchio, l’una vicina all’altra è l’avviso di un brutto evento. Ad esempio: un terremoto. Un pastore di S’Acquacotta ( Villacidro), nella primavera del 1980, fu testimone diretto di un simile vento.

Candu movit Pittinùrri fait temporàda: quando è nuvoloso a Pittinurri sta per arrivare il temporale. Vedi: Arcuentu est fumosu acqua teneus nosu: Arcuentu è nuvoloso arriva la pioggia. Sono espressioni tipiche dell’Arburese(Sardegna centro-sud-occidentale). Gli anziani dei paesi di questo territorio usavano spesso questi detti, per annunciare l’arrivo della pioggia.

Candu nd’hat arrui su celu dh’has accanciai cun is manus: quando cadrà il cielo la prenderai con le mani. È l’espressione che si rivolge ai sognatori che si illudono di “prendere la Luna” con le mani. Noi sardi siamo in genere poco inclini a credere nei sogni, anche perché, già da tempo, abbiamo finito di sognare.

Candu no currint is cuaddus currint is molentis: quando non corrono i cavalli corrono gli asini. Non siamo all'ippodromo, ma in mezzo alla gente. Non sempre quelli che vanno in gara sono buoni cavalli di razza, spesso sono asini ed anche sgangherati. Questo detto si adatta perfettamente a certi uomini politici ( senza offesa per gli asini).

Candu proit sciundit a tottus: quando piove bagna tutti. Il detto si adatta perfettamente alle situazioni economico - sociali. Esempio, quando arriva il lavoro e la disoccupazione diminuisce, la moneta gira egregiamente e c'è benessere un po' per tutti. Oppure quando arrivano i finanziamenti pubblici e le opere vengono realizzate in grazia di Dio ( cosa, quest'ultima, molto rara!), piove per tutti.

Candu sa meri est macca cumandant is serbidoras: quando la padrona è matta, comandano le serve. In tutte le situazioni, dove non c'è una testa a posto o delle teste a posto a dirigere la baracca, si crea disordine e quasi tutti ( i dipendenti, s'intende) diventano dirigenti. 

Candu su gattu dromit is topis baddant: quando il gatto dorme i topi ballano. Non è un detto propriamente sardo e sta ad indicare le situazioni in cui, in mancanza di un ordine, si crea confusione. Ad esempio, quando a scuola, in una classe elementare o media, l’insegnante “dorme” bambini e ragazzi si scatenano. Quando in un’azienda, pubblica o privata (più la prima che la seconda), il dirigente o i dirigenti non prestano attenzione al loro lavoro, i dipendenti sono alla chetichella.

Candu su pisittu si lingit su runcu e sa candeba fait sa circhiola est arribendi sa temporàda: quando il gatto si lecca il muso e il cero fa l’alone(aureola, cerchio luminoso), sta per arrivare il temporale. Si dice anche di una persona, che è “su di giri” e sta per scatenare un putiferio: “Portat sa circhiola”! - ma non perché è un Santo: tutt’altro!

Candu su popuru est prontu a coi ndi dh'arruit su forru: quando il povero è pronto a cuocere, gli casca il forno. È l’estremo della povertà. Neppure dopo tanti sacrifici il povero può raggiungere la piena soddisfazione; quando infatti arriva il momento in cui crede di essere finalmente contento, arriva qualcosa di spiacevole, a riportarlo alla sua normale, consueta, quotidiana condizione di miseria!

Cand'unu no bollit dus no certant: quando uno non vuole, due non litigano. A litigare si deve essere per forza in due. Nella vita di tutti i giorni è cosa normale che una persona invada il campo di un’altra, talvolta anche senza volerlo, e ciò è spesso causa di lite. Ma se uno dei due preferisce la pace, l’altro cerca guerra inutilmente. (Tra moglie e marito può succedere spesso: vince chi perde!)

Cani chi tzaulat no mossiat: can che abbaia non morde. È un proverbio universale. Chi si serve della parola per manifestare la propria opinione o la propria indignazione è un pacifista, che non accetta la violenza( con le mani) come forma di protesta.

Cani e marjani pappant impari: cane e volpe mangiano insieme. Dicesi di due che, pur presentando caratteristiche diverse,  la ferocia del cane, l’astuzia della volpe, nonostante il consueto odio tra i due, si ritrovano bene insieme per le malefatte.

Cani infitziau a craba: cane che si avventa sulle capre. Nella Carta de Logu: dessos canis assaltigiados a gammas = dei cani che assaltano le greggi. Dopo il primo assalto, poi, il cane, alla vista del sangue, diventa una vera e propria belva. Il detto si adatta perfettamente alle persone violente che, alla vista del sangue, imbestialiscono, senza limiti. Nella “Carta de Logu” è detto chiaramente: “Quel tipo di cane deve essere incatenato dal proprio padrone, in modo che non possa fare altro male, o, in caso contrario, lo si deve assolutamente eliminare”. Per quanto riguarda i cani, la regola è ancora oggi valida. Per le persone di questo genere, in molte parti del mondo, alle catene preferiscono la forca o la fucilazione o la sedia elettrica o altro: i più “delicati” la puntura indolore! Che sia giusto o sbagliato lo decide la “gente”!

Cani malu tottu cou: cane cattivo dalla lunga coda. Si dice meglio: marjani malu tottu cou: volpe cattiva dalla lunga coda. Il detto si adatta tanto agli adulti, quanto ai bambini, i quali tentano di servirsi della furbizia per ottenere quanto vogliono, ma vengono spesso colti in flagrante. Solitamente si tratta di un rimprovero bonario,  tendente a far capire al “cattivo” che la furbizia non fa molti passi.

Cani tzaulat e procu ingrassat: il cane abbaia, il porco ingrassa. Dove c’è buona guardia i ladri riescono ad arraffare ben poco. Nelle aziende in cui ci sono buoni “sorveglianti” (i dirigenti), il padrone ingrassa!

Canta ca ti passat: canta che ti passa. Canta che ti passa la malinconia. Quando un automobilista si becca una multa salata dai carabinieri se comincia ad imprecare rischia anche di essere ammanettato, se invece si mette a cantare allevia il “dolore” al suo portafoglio e, se canta bene, c’è la speranza che i carabinieri non gli facciano più il verbale. Un povero contadino andò a vedere il suo campo e lo trovò completamente arido perché non pioveva da tanto tempo. Al rientro dalla campagna solitamente fischiettava, ma quel giorno per ingannare la tristezza si mise a cantare. Dei nuvoloni neri apparvero improvvisamente in cielo e portarono un vero e proprio acquazzone.

Cantu prus ndi teneus prus ndi 'olleus: quanto più ne abbiamo, più ne vogliamo. È il detto dell’avarizia umana: non riusciamo mai ad accontentarci; vogliamo sempre di più. È il proverbio, vecchio quanto il mondo, dell’incontentabilità dell’uomo e del suo incommensurabile egoismo. Lo dice anche Dante Alighieri!

Cantu prus seus prus pagu fadeus: quanto più numerosi siamo, di meno facciamo. Il contrario dell’Unione fa la Forza. Per fare certe cose e meglio essere in pochi. Il detto si adatta perfettamente ad un certo tipo di ladri, per cui se si è in troppi c’è il rischio di farsi scoprire al più presto.

Cantu ses mannu ses tontu: quanto sei grande sei tonto. Si dice comunemente alla persona (grande o piccola, di fisico o di età) che commette un errore per ingenuità.

Cara bella e coru malu: buon viso a cattivo gioco. Bah! Questo detto si adatta di più ai napoletani, imbroglioni per antonomasia, che non ai sardi. Per un sardo è assai difficile portare la maschera ed apparire dolce quando non è il momento di esserlo. Difficilmente riusciamo a nascondere i nostri sentimenti.

Cara mala e coru bellu: viso arcigno e cuore dolce. Condanna col viso, perdona con il cuore. È il comportamento tipico dei genitori sardi e non, nei confronti dei figli (bambini) che sbagliano, indipendentemente dalla gravità dell’errore.

Carràda beccia fait binu bonu: vecchia botte fa buon vino. Si dice dell’anziano per la sua saggezza.

Carràda butta fait su binu axedu: botte sporca rende il vino spunto. Si raccomanda sempre di pulire scrupolosamente le botti prima della vendemmia. Il proverbio invita a non fidarsi tanto delle persone di cattiva coscienza, poiché da loro difficilmente si possono ottenere opere buone.

Celu arrubiu a merì crasi bella dì: cielo rosso di sera, bel tempo si spera. O anche – circhiola a merì crasi bella dì: arcobaleno di sera bel tempo si spera. I due detti, sostanzialmente uguali, si possono adattare anche ai fatti umani. Il cielo rosso o l’arcobaleno potrebbero indicare lo schiarirsi di una situazione grave di tensione o l’attenuazione di un “conflitto”.

Centu concas centu barrìttas: cento teste, cento berrette. È il proverbio sardo per eccellenza, perché ci contraddistingue da molti altri popoli nel bene e nel male. Nel bene perché il detto indica chiaramente che ogni sardo pensa con la propria testa e quindi difficilmente si lascia convincere a fare una cosa che non sente di fare e quando ha deciso di farla la porta avanti sino all’estremo. Nel male perché la nostra ostinazione ci conduce sino alla testardaggine estrema, “conca ‘e arrocca” ( testa dura), che spesso ci impedisce di trovare l’accordo comune o il compromesso, a cui talvolta è necessario pervenire. Non dico che trovare due sardi che vadano perfettamente d’accordo sia come trovare un ago in un pagliaio, ma è comunque cosa difficile. Non siamo docili alle “imposizioni” dall’alto, ma crediamo in certi principi, nonostante tutto. I cento mila sardi che parteciparono alla liberazione del Trentino e della Venezia Giulia, dal 1915 al 1918 non adoravano certo quei popoli che di sardo non hanno mai avuto niente,  ma lo fecero perché credevano in quel principio che si chiama Patria, e quella stessa gente da noi portata alla liberazione col sacrificio di 13 mila morti e 15 mila feriti gravi, oggi rinnega quel principio: “ Deus dhus aggiudit”! Usiamo questa espressione quando ci troviamo davanti a persone talmente malate ( di mente) per cui ogni cura terrena può far ben poco.

Centu logus centu modas: cento luoghi cento mode. Si dice anche paese “che” vai gente che trovi. Soprattutto qui in Sardegna certe usanze cambiano da paese a paese, anche se la distanza ( in chilometri s’intende) è breve.  Con i mezzi di comunicazione e di scambio dei beni di consumo a tecnologia avanzata, il “globale” sta velocemente ed inesorabilmente divorando il particolare. Il proverbio fra non molto passerà alla storia.

Certu tra fradis, certu de canis: lite tra fratelli, lotta tra cani. Non sembra vero, ma tra fratelli si litiga spesso e talvolta anche in modo violento. Quando poi c’è l’eredità da spartirsi le cose si complicano brutalmente: (quando l’eredità è piccola) “ Is poburus s’accarrabullant e si pistongiant”; (quando l’eredità è grande) “Is arriccus si ‘occint pari pari”! ( i poveri si accapigliano e si picchiano, mentre i ricchi si ammazzano tra di loro).

Chi mi calàsta in gangas, cantu mi calas in cambas! Se tu mi scorressi vicino alla bocca quanto mi scorri nelle gambe: riferito all’acqua di un ruscello. È l’asino(poltrone), che attraversa un ruscello e, pur essendo assetato, non ha volontà di inchinarsi a bere. Il detto si adatta alle persone, che per la propria indolenza( fisica e mentale) si lasciano persino morire di fame.

Chi no arrìscat no pìscat: chi non rischia non pesca. Chi se ne sta con le mani in mano e non ha il coraggio, all’occorrenza, di prendere decisioni, anche se rischiose, non ha la speranza di migliorare. La paura di perdere il poco che abbiamo ci induce a non correre alcun rischio e ad accontentarci di una esistenza grama e priva di novità. Il proverbio esorta ad uscire dall’involucro che occlude le meningi e ci spinge in un sentiero irto d’assillo ed inquietudine.

Chi unu no bolit dus no certant: se uno non vuole due non litigano. Sappiamo tutti che per litigare bisogna essere in due. È raro, ma comunque ci sono persone che hanno la “capacità” di litigare con se stessi e i danni spesso sono più gravi che nel litigio a due o più.

Chini andat in gherra pappat mali e dromit in terra: chi va in guerra mangia male e dorme in terra. La guerra porta male a tutti, anche ai soldati che devono rinunciare alle normali “comodità” della vita militare in tempo di pace. Tutti e due i miei nonni erano Cavalieri di Vittorio Veneto, ma in particolare uno, quello materno, che visse la guerra nei minimi particolari, fu ferito quattro volte, fu fatto prigioniero a Caporetto e tenuto per quasi 5 mesi in campo di concentramento austriaco, mi raccontava spesso dei suoi  “tre anni felici” trascorsi in guerra!

Chini apodèrat is fitzius de s’amigu, abàrrat pagu a ndi dhus pigài: chi va con lo zoppo impara a zoppicare. Può capitare che sia come dice il proverbio, ma io la penso diversamente. Una buona amicizia può salvare una persona dal baratro.

Chini arrèguat candu ndi tenit, pappat candu bolit: chi conserva quando ne ha mangia quando vuole. È un invito al risparmio. È come: “Chini pentzat a oi y a crasi ponit mesa d-onnya dì”.

Chini arrìbat tradu agàttat is pillònis bolàus: chi tardi arriva trova gli uccelli volati(male alloggia). È un po’ diverso in italiano, ma il significato non cambia. Nelle vicissitudini della vita è necessario essere puntuali, come regola almeno. Si sa che le regole portano le eccezioni, ma queste ultime non cambiano le prime.

Chini ascurtat in jenna allena intendit is malis cosa sua: chi origlia in porta altrui ascolta i propri difetti. È meglio non origliare nelle porte degli altri, soprattutto dei vicini di casa, perché si corre il rischio di sentirsi ripetere ( con elevazione a potenza) i propri difetti!

Chini bantat a si e tottu, agàttat in pressi strocidòris: chi vanta se stesso trova in fretta chi lo prende in giro. Il millantatore finisce sempre nelle barzellette.

Chini beffat is aterus beffat a sì e tottu: chi si fa beffe degli altri beffa se stesso. Le beffe si ritorcono spesso sulla persona che le fa.

Chini bendit s’allènu bendit bentu: chi vende le cose degli altri vende vento. È come fare i conti senza l’oste o vendere la pelle dell’orso prima di averlo catturato.

Chini bincit s’arrenègu suu, bincit su nemigu prus mannu: chi vince la propria ira vince il peggiore nemico. Il perdono è la cosa più giusta e santa di questo mondo, ma non sempre, anzi raramente, riusciamo a perdonare chi ci ha fatto un grave torto, dominando l’ira e la sete di vendetta.

Chini binciti a si e tottu, bincit duas bortas: chi vince se stesso vince due volte. Vi è un peccato che colpisce, anche se in maniera diversa, tutti gli uomini, fuorché i Santi: l’invidia. Lo stesso Dante Alighieri, pur animato da grande saggezza, da grandissima cultura e da una fede formidabile, di fronte alla lupa(l’invidia) è costretto a tornare indietro ed implora in suo aiuto tutta la potenza della fede (il sole) e della ragione (Il poeta Virgilio), che però lo convincono ad aggirare l’ostacolo. Chi riesce a vincere il proprio egoismo, vince dunque due volte, anzi io direi cento.

Chini bivit sperèndi morrit cantèndi ( o a palas de unu cugutzu): chi vive sperando muore cantando ( o dietro la siepe). La speranza è l’ultima a morire, ma di sola speranza non si può vivere. Quando la vita è grama di offerte, allora è opportuno rimboccarsi le maniche, rompere gli indugi, armarsi di determinazione ed inseguire con risolutezza la fortuna, anche in “capo al mondo”.

Chini cantat a mesa o a lettu o est maccu o est fettu: chi canta a tavola o a letto o è matto o è ubriaco. Vi sono regole normalmente rispettate: chi non le rispetta ha evidentemente le rotelle fuori posto.

Chini circat is corrus allènus agàttat is sus: chi cerca le “corna” degli altri, trova le sue. Il proverbio mi ricorda una chiacchierata tra due signore di mezza età, zia Maria e zia Rosina: “Cussa bella impriòdda cun su tali – inizia zia Rosina – ita bellu arrespettu chi tenit cussu puru po sa pobidda e is fillus”! ( “Quella puttanella con il tale! Che bel rispetto ha pure lui per la moglie e i figli”!) “ E tui inveci de criticai a is atrus– risponde zia Maria – pentza de pinniccài a pobìddu tu”!!! (“ E tu invece, prima di criticare gli altri, pensa a far rincasare tuo marito”!!!).

Chini cumàndat fai sa lei: chi comanda fa legge. Anche questo proverbio è vecchio quanto il mondo. “Chi mai nella storia ha visto un potente fare una legge che possa portare danno a se stesso”?

Chini de ferru ferit de ferru perit: chi di ferro ferisca di ferro perisca. Qui da noi diciamo scherzosamente: “Chi di figu ferisca, di figu morisca”!

Chini dh’ ‘olit crua e chini cotta: chi la vuole cruda e chi cotta. Il mondo è pieno di persone così. È addirittura cosa impossibile, ad esempio, trovare due sardi che la pensino e la vogliano allo stesso modo!

Chini donat cun bonesa, arricit cun bonesa: chi dà con bontà, riceve con bontà. Non sempre viene rispettata la sostanza di questo detto; infatti c’è un altro proverbio sardo che dice: “ Fai beni, bai in ora mala”! = “Fai bene, vai in malora”!

Chini est prus assortàu de su dattori: cussus chi sanat dhu stimant e dhu bàntant; cussus chi boccit si ndi andant e no scramòrant nimàncu: chi è più fortunato del medico: quelli a cui restituisce la salute lo stimano e lo lodano; quelli che ammazza se ne vanno e non protestano neppure. Il detto non ha bisogno di grandi spiegazioni.

Chini fait cragàllus fait puru turras: chi fa i cucchiai(di legno) fa pure i mestoli. Si dice delle persone che ne combinano di tutti i colori, nel bene e nel male.

Chini fait in pressi sa caridadi a su poburu, dha fait duas bortas. Chi fa in fretta la carità al povero la fa due volte. L’uomo politico che lotta con tutte le sue forze per le esigenze dei poveri, merita la gloria in terra ed in cielo: San Pietro sinora ne ha visto passare ben pochi! L’amore per il prossimo è però una cosa spontanea, non forzata.

Chini mali incumèntzat peus finit: chi comincia male finisce peggio. È proprio il contrario di: chi ben comincia …

Chini narat ca fait meda beni, esti ca ndi bolit: chi dice di far bene è perché ne vuole. Vi sono quelle persone che dicono con insistenza di essere buoni ed in verità non lo sono, ma pretendono che gli altri siano buoni con loro.

Chini narat de poni menti a tantis, no ponit menti a nemus: chi dice di dar retta a tanti, non dà retta a nessuno. Ci sono quelli che promettono a tanti, magari in cambio di favori, e non mantengono nessuna delle promesse; ad esempio: molti uomini politici!

Chini narat su chi bollit, intendit su chi no bollit: chi dice quel che vuole sente quello che non vuole. Se abbiamo il coraggio di “sputare” sentenze nei confronti degli altri, dobbiamo essere preparati ad “incassare” i loro giudizi.

Chini nci pentzat beni oberat mellus: chi ci pensa bene opera meglio. Nella vita, prima di fare una scelta importante è sempre meglio andare, come si suole dire, con i piedi di piombo; cioè occorre riflettere con scrupolosa attenzione, poiché certi errori sono difficili da rimediare.

Chini no ascùrtat contzìllus bandat fisciu in oramàla: chi non ascolta i consigli va spesso in malora. E quante volte ci siamo pentiti di non aver dato ascolto alle parole dei nostri consiglieri soprattutto anziani? Diamo dunque ascolto ai consigli di chi ha grande esperienza sulla “gobba” e che ci aiutano ad evitare certe situazioni imbarazzanti da loro vissute personalmente. Ma ci sono sempre i testardi che vogliono provare nonostante tutto…e vanno in malora = bandant in oramàla!

Chini no est bonu a serbì(ri), no est bonu a cumandài: chi non sa servire bene, non sa neppure comandare. È ben vero: per comandare in maniera giusta bisogna prima saper servire. O ancora: il miglior comandante è colui che, in contemporanea, è capace di servire bene i suoi dipendenti.

Chini no intèndit fueddu no intèndit cropu: chi non sente le parole non sente neppure le percosse. È però da verificare. Ai figli che non sentono le parole non diamo le percosse, perché le regole della pedagogia moderna non lo permettono. I nostri anziani la pensavano diversamente: “ Chi su pippiu no intendit fueddu nci bolit una bella cadra de nadiàdas”! – Se il bambino non sente le parole, la medicina più giusta è una buona dose di sculaccioni –. Credo che la pedagogia dei nostri vecchi fosse la più giusta!

Chini no istat beni a u’ costau si girat a s’atru: chi non sta bene ad un fianco, si gira all’altro. È inutile insistere in una certa situazione, quando capiamo che ci porta solo problemi ed invece ci è data la possibilità di ovviare all’ostacolo e di trovare scampo in altre opportunità. Eppure ci sono quelli che insistono in una posizione, nonostante i rischi ed i pericoli: testardi (tostorrùdus)!

Chini no sbagliat, no imparat: chi non sbaglia non impara. Sbagliando s’impara. Ma un errore irreparabile può essere fatale e quindi non lascia proprio il tempo di imparare!

Chini no seminat no arregòlit: chi non semina non raccoglie. È un detto universale. Si dice anche:” Chi semina bene raccoglie buon grano; chi semina male raccoglie zizzania: è biblico!

Chini no trabàllat no pappat: chi non lavora non mangia. È un proverbio conosciuto in tutto il mondo.

Chini pagat innàntis est mali serbìu: chi paga prima è mal servito. È quasi sempre così, purtroppo! A questo punto è meglio pagare quando si ha, in mano, ciò che si paga. Questo vale anche per le somme che si anticipano, anche come caparra, per un acquisto. Succede spesso infatti che “un negoziante” trascuri un cliente che ha già anticipato il pagamento, in tutto o in parte, dell’acquisto.

Chini pentzat a oi y a crasi ponit mesa d-onnya dì: chi pensa a oggi e a domani prepara la tavola tutti i giorni. È uno stimolo a non vivere alla giornata, ma a fare dei programmi, possibilmente duraturi, per assicurarsi almeno il vitto tutti i santi giorni. Purtroppo, qui in Sardegna, soprattutto per i tantissimi giovani e per i non più giovani in “cerca” di lavoro, è letteralmente impossibile programmare la propria esistenza per più di un “solo giorno”! Ma i nostri uomini politici promettono(promessa costante nel tempo)di  risolvere ben presto i tanti problemi dei sardi…ihhh!!!

Chini preparat fossu nci arrùit po primu: chi prepara il fosso ci casca per primo. Spesso avviene che chi prepara le trappole per gli altri ci casca per primo.

Chini promittit meda no donat nudda: chi promette molto non dà niente. Un po’ come i politici, soprattutto in campagna elettorale: promettono mari e monti e non mantengono quasi mai le promesse; sono parenti dei marinai!

Chini seminat ispinas, no bandit iscrùtzu: chi semina spine non vada scalzo. Come: chini preparat fossu… Chi organizza furfanterie per gli altri è spesso il primo a “godere” dei suoi programmi disonesti.

Chini serbit beni ndi tenit parti: chi serve bene ne trae vantaggio. È un proverbio sempre validissimo. Oggi chi offre un buon servizio riceve la stima degli utenti. In tutte le attività della vita quotidiana c’è chi offre il proprio servizio, di qualsiasi natura esso sia, e chi ne usufruisce. Ad esempio un buon sindaco è stimato dai suoi concittadini; un buon insegnante è ben voluto dai suoi allievi; un bravo impiegato dell’ufficio postale è apprezzato dagli utenti; se  i dipendenti di un’azienda fanno un buon servizio, ricevono lode  e soldi( questi un po’ meno) dall’imprenditore. È comunque un proverbio che si adatta a tantissime situazioni.

Chini setzit a cuaddu allenu, a domu torrat a pei: chi monta il cavallo degli altri, torna a casa a piedi. Può adattarsi a diverse situazioni della vita. la donna che tradisce il marito ha tanto da perdere. L’uomo che tradisce la moglie con un’altra sposata, corre il rischio di buscarle severamente.

Chini si cuntèntat de su pagu est arriccu: chi si contenta del poco è un ricco. Dipende da come si interpreta. È chiaro che quando il poco si riduce a quasi niente viene assai difficile essere contenti.

Chini si pappat sa prupa si pappat s’ossu puru: chi mangia la polpa deve mangiare anche l’osso. Molte vicende della vita presentano due risvolti: uno positivo e l’altro negativo. Chi accetta il primo deve accollarsi anche il secondo.

Chini sighit dus lepiris no ndi cassat mancùnu: chi insegue due lepri non ne prende manco una. Una cosa per volta: dice un altro proverbio. Chi vuol fare tutto in fretta, corre il rischio di raffazzonare.

Chini sighit mori nou adobiat atrupelius nous: chi segue sentieri nuovi incontra nuovi crucci. Le nuove iniziative comportano nuove incertezze. Noi sardi, per tradizione, siamo restii ad intraprendere cose nuove, proprio per paura di eventuali pericoli. Ma c’è anche il proverbio: “ Chini non arriscat no piscat” = “Chi non rischia non trova niente”!

Chini sindi pesat chitzi fai giorrunàda bella: chi si leva presto fa una buona giornata. È un proverbio che dal quotidiano si apre alla vita intera. Chi dorme sino a tardi perde il senso della vita, che è così breve, quindi perché sprecarla inutilmente a letto? Esiste comunque un altro proverbio che concede il recupero: “meglio tardi che mai”.

Chini tallat mali cosit a trottu: chi taglia male cuce storto. Nell’organizzare le cose bisogna essere ordinati e scrupolosi onde evitare che i risultati siano scadenti. Chi predispone le cose alla rinfusa e senza la giusta programmazione l’opera che si vuole realizzare avrà poco successo.

Chini tenit arti tenit parti: chi ha l’arte ha la parte( impara l’arte e mettila da parte). Chi ha un’arte ha sempre la possibilità di trovare lavoro.

Chini tenit bastimentu tenit pentzamentu: chi ha bastimento ha preoccupazioni. In effetti le preoccupazioni dei ricchi superano di gran lunga quelle della povera gente. “Ma i ricchi - ci chiediamo – perché non si liberano da tante preoccupazioni”?

Chini tenit binja tenit tinja: chi ha vigna ha tigna. Il proverbio avverte che il vino, tracannato senza misura, porta povertà e miseria al bevitore. Qui in Medio Campidano era usanza coltivare un piccolo vigneto per il fabbisogno familiare, quindi il viticoltore beveva quasi esclusivamente il proprio vino. I viticoltori erano per lo più artigiani e minatori. Raramente un contadino o un allevatore coltivava la vigna ed è proprio da loro che è nato il detto: chini tenit binja tenit tinja. Bere il vino per questi era ritenuto uno spreco ed anche pericoloso ed il tempo dedicato alla vigna era considerato perso inutilmente. Poiché anche artigiani e minatori avevano un lavoro, che non potevano assolutamente trascurare per la vigna, essi dedicavano alla coltura di questa il giorno libero della settimana, solitamente la domenica e pertanto erano detti, is binjanteris de su domigu = i vignaioli della domenica. Qui a Gonnosfanadiga, ad esempio, il territorio collinare ed alcuni tratti della pianura, erano minutamente spezzettati e coltivati a vigneto, dove poi, quasi regolarmente, venivano impiantati gli olivastri per il futuro oliveto. Ecco pertanto una delle cause della frammentazione incredibile degli oliveti di Gonnos. In tempi più recenti molti contadini del cagliaritano e dell’oristanese impiantarono vigneti anche di vaste estensioni, ma per commerciare il vino. Divennero famose le vigne di Monserrato, nel Cagliaritano, ma il primo vero e proprio Enopolio fu inaugurato nel 1928 a Mussolinia (Arborea), nella bonifica della piana di Terralba, nell’Oristanese.

Chini tenit cou de palla no accostit a su fogu: chi ha la coda di paglia non s’accosti al fuoco… perché rischia di bruciarsi! Chi è responsabile di una situazione già di per se grave, se insiste non fa altro che peggiorarla.

Chini tenit dinai cumpàrrit innotzenti: chi ha il denaro appare innocente. È provato: anche davanti alla legge. Eppure si dice che la legge sia uguale per tutti: dovrebbe essere, ma solitamente è dalla parte di chi può pagarsi i migliori avvocati ( che sono anche i più cari). Provate a dimostrare il contrario!

Chini tenit saludi tenit onnya cosa: chi ha salute ha tutto. È vero che senza la salute le ricchezze contano ben poco, ma chi ha tanta salute e non ha un soldo rischia al più presto di perdere l’unica cosa che ha!

Chini tenit tanca, tenit banca: chi ha la terra ha i soldi. È un proverbio latino: la terra, intesa come proprietà privata, garantiva una vita “onorevole” ed economicamente sicura; oggi le cose sono un po’ cambiate, almeno qui da noi in Sardegna!

Chini ti toccat sa braba ti ‘olit nai corrùdu: chi ti tocca la barba ti vuol dire cornuto. Ancora oggi, in molte parti della Sardegna, è meglio evitare di toccare la barba altrui.

Cicciu impera: Ciccio impera. Quando un bambino o un adulto si atteggia con imponenza a comandante, lo si chiama così. “ Là, castiàdhu a Cicciu impera”! = “Là, guardalo, Ciccio impera”! Mi diceva mia madre, quando tentavo di sostenere il sua sguardo a fronte alta, in atteggiamento di sfida.

Circai a perda furriàda: cercare una cosa, rovesciando persino le pietre. È un’espressione tipicamente sarda, che viene usata molto spesso quando si cerca un oggetto,  animale o  persona scomparsi. Se ne fa uso anche in senso ironico, ad esempio, per rispondere ad amico o parente che ci ha prestato qualcosa, che non vogliamo restituire: “ Dh’happu circàda a perda furriàda, ma no dh’happ’agattàda”! = “L’ho cercata in tutti i posti ma non l’ho trovata”!

Circai de cassai sa luna in s’acqua: tentare di prendere la Luna riflessa nell’acqua. Il proverbio invita a non tentare cose prive di senso ed infantili. Sono tanti i proverbi che hanno questo significato, come ad esempio: candu nd’arrui su celu… quando si abbassa il cielo prendi la Luna con le mani; ed altri.

Cirkiola a manjànu crasi tempus malu: arcobaleno di mattina il tempo si rovina. Si dice inoltre delle persone umane che manifestano di buon mattino nervosismo, che annuncia “vento e pioggia” e all’indomani “burrasca”.

Coi, pappa e (citu) tuppadì: cuoci, mangia e taci. Non siamo molto aperti, sia nell’indigenza che nell’abbondanza. Per certi versi è un bene, per altri un male. È comunque chiaro che, in certe situazioni, il silenzio è preferibile alle parole.

Coia e compra in bidda tua e chi podis in bijanu: matrimonio e affari (moglie e buoi) nel tuo paese tuoi e se puoi nel tuo vicinato. Ancora oggi abbiamo pregiudizi nei confronti della moglie o del marito “istranju” (straniero), anche se magari è di un paese che dista  5 Km. dal nostro. “Jei est a fròri, no nc’est arrenèsciu a agattai  pobidda in bidda sua”! = “Poveraccio non è riuscito a trovare nel suo paese neppure la moglie”! Etc.Etc.

Conca manna, conca giudiziosa: testa grande testa saggia. Potrebbe andare bene per me, che ho la testa grande e sono fisicamente piccolo, ma non sempre è così!

Conca pitia cerbeddu de bentu: testa piccola cervello di vento. Sono parole che vanno ripetendo quelli che hanno la testa grossa!

Corbu cun corbu no si ndi bogat s’ogu: corvo con corvo non si cava l’occhio. I corvi sono come i ladri: per quanto c’è da arraffare e da mangiare stanno bene insieme. Si differenziano da loro certi uomini politici, che, insieme, arraffano e mangiano, eppure stanno sempre a litigare tra di loro.

Corbus e carrogas imbittint pruina: corvi e cornacchie annunciano la pioggia. Quando i corvi e le cornacchie si radunano, arrivano le piogge. Comunque non sempre è così; infatti qui in Sardegna vediamo spesso i corvi e le cornacchie in folti gruppi, ma di pioggia manco una goccia!

Coru bellu e cara mala – cara bella e coru malu: cuore buono e viso arcigno – buon viso e cuore cattivo. Sono due situazioni in netta contrapposizione. La prima è propria del bravo genitore che rimprovera con durezza il proprio figlio, a cui però vuole tanto bene. La seconda è propria di tantissimi imbroglioni che “ tela mettono nel di dietro” (scusate l’espressione) col sorriso sul volto. Ciò che più da fastidio è che continuano a “sghignazzare” mentre la persona turlupinata si allontana fessa e contenta!

Coru de balla: cuore duro. Il sardo per consuetudine, talmente ben radicata da caratterizzarne il costume, è cuore di pietra. Pertanto all’offesa risponde spesso con la vendetta, immediata, possibilmente, ma talvolta covata per anni ed anni. La religione cristiana e la cultura hanno alleggerito solo un po’ quest’abito pesante. Nonostante tutto la nostra ospitalità raggiunge livelli eccezionali. All’ospite siamo sempre pronti a dare tutto, fuorché il culo e la moglie.

Cosa agattàda Deus d’’hat mandàda: “cosa” trovata Dio l’ha mandata. Sono le “proverbiali” scuse di chi non vuole restituire una cosa trovata anche se ne conosce il legittimo proprietario…e. naturalmente, quando non c’è l’obbligo di legge alla restituzione e quindi il caso è considerato vero e proprio furto: non più “cosa” trovata, bensì “cosa” rubata!

Cosa de sindi lingi is didus: roba da leccarsi le dita. È un’espressione che si usa, in senso positivo, quando si è ad un pranzo di nozze, mentre in senso negativo quando ci troviamo davanti ad un fatto grave.

Cottu o no cottu su fogu dh’hat biu: cotto o non cotto il fuoco l’ha visto. L’arrosto al sangue non è gradito, ma bisogna consumarlo. Si aggiunge: “Su crù jei mi dhu papp’’eu”! = il crudo lo mangio io. Quando si è nel momento in cui è estremamente necessario prendere una decisione di gruppo, ma vi è incertezza, uno deve prendersi la responsabilità di continuare, a suo rischio e pericolo.

Crei dy essi maistu sen’’e essi stau (stetiu) scienti: credere d’essere maestro(artigiano) senza essere stato prima apprendista. Oppure: chini narat de sci(ri) tottu e no sci(ri) nudda: chi dice di sapere tutto e non sa niente. Ci sono molte persone convinte, nella propria ignoranza, di essere nate esperte( dy essi nascias imparàdas)! Ecco l’esempio che ci riporta Platone, il grande maestro della Filosofia greca antica: - Socrate( maestro di Platone): sapeva di non sapere, non sapendo di sapere. I Sofisti( che si professavano infallibili maestri di filosofia): sapevano di sapere, non sapendo di non sapere -.

Cuàddu a mesu a pari, ni funi ni murriàli: cavallo a mezzadria ne fune ne cavezza. Un cavallo a due padroni non è facilmente governabile. Può succedere che due donne si invaghiscano dello stesso uomo, o, viceversa,  due uomini della stessa donna: nel primo caso l’uomo, nel secondo la donna diventano difficilmente “manovrabili”.

Cuaddu e pobidda sceberadhus in bidda: cavallo e moglie sceglili nel tuo paese (moglie e buoi dei paesi tuoi). Chi sceglieva la moglie in un paese diverso dal proprio, anche se vicino, diveniva oggetto della critica delle “comari”: “Là, no nc’est arrenesciu a s’agattai in bidda mancu sa pobidda e nd’hat bitiu ua stranja”!  -“Là, non è riuscito a trovare neppure la moglie in paese e ha portato una straniera”! Come in precedenza: coia e compra sceberaddas in bidda…

Cuaddu friau sa sedda dhi pitziat: il cavallo ulcerato mal sopporta la sella. Questo detto si adatta perfettamente alle persone le quali, invitate a discorrere di un argomento delicato, nel quale sono interessate, trovano tante scuse per evitarlo. In linea generale si usa questa espressione per indicare una fatto che riapre una ferita (di qualsiasi genere) non ancora del tutto marginata. Un’esperienza negativa, indimenticabile per l’uomo di “coscienza”, rappresenta una validissima lezione di vita.

Culu chi troddiat salludi de su meri: culo che scorreggia, salute del padrone ( del culo s’intende!). Anche per i sardi lo scorreggio è consueto: non è però opportuno farlo né durante le riunioni, né tantomeno a tavola.

Cument’’e u’ tzurpu chi  hat agattau una scala de carru: come un cieco che ha trovato la scala di un carro. Sta a significare un qualcosa non tanto difficile. L’espressione viene usata per disilludere chi crede di aver realizzato chissà che cosa ed invece ha fatto una cosa normalissima.

Cumenti ‘e sa natura est su dinai: chi dhu manijas beni esti unu bonu serbidori; chi dhu manijas mali benit a essi unu mèri malu: come la Natura è il denaro: se lo usi bene è un buon servitore; se lo usi male diventa un cattivo padrone. È un proverbio che non ha bisogno di spiegazioni, perché di esempi ne è piena la storia. Per quanto riguarda la natura poi, stiamo cominciando a pagare severamente i torti che le abbiamo fatto e continuiamo a farle: da amica e buona serva è già diventata una cattiva matrigna ( indipendentemente dal pensiero poetico di G. Leopardi).

Cumenti de spina asutta de ludu: come spina sotto il fango. I lestofanti, privi di coscienza morale, ottenebrati dalla loro “immensa bassezza” preparano le trappole più meschine per coloro ai quali sono indirizzate le loro perfide intenzioni.

Cumenti de u’ santu sen''e festa: come un santo senza festa. Tristu e miserinu che u’santu sen’’e festa. È l’atteggiamento del bambino, a cui la madre ha impedito di andare a giocare con gli amici del vicinato, perché prima deve fare i compiti di scuola; e lui si rannicchia, nella sua “immensa” tristezza, in un angolino della casa. Per provare la bontà del proverbio basta recarsi in chiesa, visitare la nicchia di un santo non più festeggiato, osservare attentamente il volto della statua e  constatare la tristezza della sua espressione.

Cumenti su babbu su fillu: come il padre il figlio. In latino: talis pater talis filius. Qui in Sardegna usiamo dire:  truncu ‘e figu astua ‘e figu = dal tronco di fico si ricavano trucioli di fico. Si usa questa espressione( in senso spregiativo) di fronte ad un ragazzo che presenta gli stessi difetti del proprio genitore.

Cun d-u’ cropu mannu de seguri no si ndi segat ua matta manna: con un forte colpo di scure non si può abbattere un grosso albero. È un avvertimento per coloro che, contando orgogliosamente sulle proprie forze, tentano di risolvere in tutta fretta situazioni che invece richiedono, per la loro risoluzione, un impegno duraturo in tempi tutt’altro che brevi.

Cun is bonas maneras si ottenit tottu: con le buone maniere si ottiene tutto. Con la diplomazia si può abbattere qualsiasi barriera. Con la gentilezza si può conquistare anche un cuore duro. Con i sorrisi addolcisci i tuoi nemici. Con un empito di garbatezza addolcisci persino il cuore del carabiniere, che ti vuole fare il verbale per l’infrazione al codice della strada. Etc. Etc.

Cun is santus e is maccus no fait a brullai: con i santi e con i matti non si può scherzare. L’espressione è abbastanza chiara; io aggiungerei, ai santi e ai matti, gli ubriachi. Con queste persone è meglio andarci cauti. Ai santi poi è meglio non promettere mai niente: a poburu no depast, a santu no promittast (v. dicius A)

Cun s’humilidàdi si guadànjat su celu: con l’umiltà su guadagna il cielo. Il proverbio trova pieno riscontro nelle parole di Cristo.

Cun su cuaddu de Santu Franciscu: col cavallo di San Francesco; cioè a piedi. Questo proverbio lo conoscono tutti. Era il cavallo dei poveri. Oggi anche i poveri vanno in auto( di piccola cilindrata!).

Cunformi a sa genti sa predica: in base alla gente(presente in chiesa) la predica(del vicario). Penso che tutte le chiese parrocchiali della Sardegna e non, abbiano lasciato nei ricordi della gente tanti esempi in sintonia col proverbio.

Cunformi su stampu su babbalotti( su tziringoni): conforme al buco il lombrico. È proprio di coloro( specie i furbi) che si adattano facilmente alle situazioni, cogliendo le occasioni propizie.

Cuntentu e prexau che unu Paba: contento e felice come un Papa. Come se il Papa fosse sempre contento e felice! È un essere umano come gli altri. Penso che abbia momenti di gioia e momenti di tristezza, come la maggior parte degli uomini. È ben certo che quando riflette sui fatti che turbano la pace del mondo ha il cuore pieno di mestizia.

Curris che sa musca a su latti; curris che  sa musca a sa medra: corri come la mosca al latte; corri come la mosca allo sterco. I due detti, identici per sostanza, indicano l’atteggiamento della persona che si lascia convincere a fare una cosa senza minimamente riflettere, quasi attirato da un desiderio, che non si riesce a frenare.

Currit che musca a su latti( a sa medra): corre come la mosca al latte( alla merda). Le comari usano questa espressione quando vogliono rimarcare un “galantuomo” che si lascia incantare troppo dalle gonnelle: “Là castiadhu, currit che musca a su latti etc.! Ma guardalo, corre come la mosca al latte!

Curruxu de molenti no arribat a celu: raglio d’asino non arriva in celo. È un bellissimo proverbio, che si adatta perfettamente alle persone, che, ignare delle proprie limitatezze,   gridano ai quattro venti i loro pregi e le loro virtù: millantatori!

Custu est su contu de Marcantoni tontu: questo è il racconto di Marcantonio tonto. È uno scioglilingua che sta ad indicare una presa in giro: il solito “Marcantonio” ( il nome conta poco) che, vittima della sua bontà, si lascia prendere in giro ancora una volta. L’umiltà incondizionata non è propria dei sardi.

   

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