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ZZDICIUS/F

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Dicius F

Facci ‘e soba: faccia di cuoio ( faccia di bronzo). Si usa per definire quelle persone che, pur dopo averti fatto un torto, hanno la spudoratezza di starti vicino, come se niente fosse.

Fai beni y andai in oramala: fare del bene ed essere contraccambiati in maniera brutale. È un proverbio che coinvolge uomini e donne, grandi e piccoli di qualsiasi razza, lingua e religione!

Fai bì(ri) biancu po nieddu: far vedere bianco per nero. Questo detto coinvolge imbroglioni, bugiardi, turlupinatori, mistificatori ed infine, cavalieri d’industria e politici in genere!

Fai cumenti faint in Bosa: candu proit dhu lassant proi: fare come fanno in Bosa: quando piove lasciano piovere. Quando piove tanto, nel territorio di Bosa ed a nord di esso, il fiume Temo s’ingrossa ed allora sono guai per gli abitanti della cittadina, i quali, altro non possono fare che constatare le piena del fiume, indi mettersi al sicuro e stare a guardare, con la speranza che smetta di piovere e la piena cessi al più presto.

Fai fillu fillastu: fare figlio, figliastro. I genitori non sempre riescono ad essere imparziali nei confronti dei loro figli, talvolta prediligendone uno o più, trattando gli altri quasi come figliastri.

Fai gruxis e grastus; fai scrteddu e cadinu: fare testa e croce; fare cestelli e cesti. È il proverbio dei factotum, che pretendono di fare tutto senza lasciare spazio agli altri. Agli effetti poi riescono a fare ben poco.

Fai sa figura de s’assu de bastus: fare la figura dell’asso di bastoni. Significa suscitare scarsa considerazione.

Fai su corratzu sen’’e brebeis: fare il recinto senza le pecore. Sono castelli in aria.

Fai su passu prus longu de sa camba: fare il passo più lungo della gamba. Proverbio molto comune, che si adatta a quelle persone che pretendono di fare più di quanto possano. Si dice anche: chini fait su passu prus longu de sa camba, lissiat e nci ponit su culu in terra = chi fa il passo più lungo della gamba, scivola e mette il culo per terra.

Fai su tontu po no pagai su contu: fare il tonto per non pagare il conto. È un proverbio che si adatta a coloro che fanno un sacco di storie per non pagare il conto.

Faina asunotti bregunja adedì: lavoro di notte vergogna di giorno. Il lavoro fatto di notte e spesso con la fretta non risulta mai preciso e quindi, alla luce del giorno, evidenzia le sue carenze. Il proverbio è ormai superato, ma ben si adatta al passato, allorquando di notte l’ambiente di lavoro era  a mala pena “rischiarato” da un semplice lumicino.

Fait prus u’ babbu po dexi fillus, chi no dexi fillus po u’ babbu: fa di più un padre per dieci figli, che non dieci figli per un padre. Può capitare che un genitore, che ha allevato con cura dieci figli, da anziano, nei momenti di bisogno, sia lasciato a se stesso. Oggi comunque gli anziani bisognosi godono di maggior assistenza da parte dei loro figli.

Famini a conca de genugu: fame sino alla rotula del ginocchio. Per indicare  una situazione di estrema miseria, cioè “fame” che si protrae per lungo tempo.

Famini che is fillus de Conch’’e Peddi, ca s’ianta pappau su cropettu de su babbu: fame come i figli di Testa di Pelle, i quali( per la fame) mangiarono il corpetto del loro padre. Per indicare lo stato di estrema indigenza.

Famini fintzas a coi no est famini malu: appetito sino alla cottura (della vivanda) non è cattivo appetito. Spesso, soprattutto i bambini, manifestano energicamente la voglia del cibo che sta cuocendo, magari un bell’arrosto, che però è stato messo al forno con qualche minuto di ritardo. La scarsa pazienza dei piccoli viene solitamente addolcita dai genitori con il detto: famini fintzas a coi…Come  a dire che nessuno è mai morto per simile attesa!

Fattu oi, scaresciu crasi: fatto oggi dimenticato domani. Si dice di cose di poco conto, che non lasciano quindi validi motivi per essere ricordate a lungo.

Fatzat callenti e arriat sa genti: faccia caldo e rida la gente. Talvolta, soprattutto la povera gente, risolve i problemi così alla bell’e meglio ed in modo da suscitare, pur non volendo, l’ilarità del prossimo. Si risponde così: fatzat callenti etc.  Comunque il povero, nel bisogno, si sa arrangiare meglio del ricco: tristu e miserinu s’arriccu, su poburu jei sìarrangiat!

Fillu ‘e predi o fillu ‘e para: figli di prete o figlio di frate. Si usano per indicare un tipo un po’ birbone.

Fillu de pisittu cassat topis: figlio di gatto cattura i topi. Si dice per un giovane che manifesta le stesse abitudini del genitore. Vedi: truncu ‘e figu, astua ‘e figu. Si usa in senso per lo più negativo.

Fradibi o sorresta, mellus festa: cugino o cugina festa migliore. Quando da giovani, durante la passeggiata della domenica ci si incontrava con l'amico, che ( più o meno per caso)stava insieme alla cugina, arrivava lesto la nostra disapprovazione in forma di battuta spiritosa, ed anche la risposta: Sorresta, mellus festa! = Cugina, miglior festa!

Fueddu bessiu no torrat agou(che pid’ ‘e cu): parola uscita (dallabocca) non torna indietro( come il peto). Per affermarci usiamo le parole ( comunque sempre meglio delle mani), ma è opportuno misurare i termini, perché questi una volta usciti dalla bocca non tornano più indietro.

Fueddu de sroga po dhu intendi nura: parola di suocera per sentirla la nuora. È cosa assai difficile trovare una suocera che vada d’accordo con la nuora, vi è tra di loro una “proprietà” che né l’una né l’altra vuol dividere. In genere non si scontrano direttamente e ricorrono invece a terze persone per trasferire i loro “delicati” messaggi.

 

 

   

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