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ZZDICIUS/M

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DICIUS/M

Maccu de accappiai: matto da legare. Chi ne combina di veramente grosse, indipendentemente dall’età e dal sesso, è proprio un matto/a da legare e da rinchiudere. Quando la pazzia è furiosa si dice, maccu de cadena = matto da catena.

Maccu ses o figu bendis? = sei matto o vendi fichi? Evidentemente vendere i fichi non era una cosa normale.

Maccu/a cumenti ‘e una craba: matto/a come una capra. Non è vero che la capra è matta. È invece vero che preferisce andare per conto suo. Si dice anche, arreu che una craba: in giro come una capra. Questo vale per i maschi girovaghi, quanto per le girovaghe femmine. Quindi andrebbe meglio dire, vagabondo/a come una capra. Si aggiuge, sen’’e mèri = senza padrone.

Mai chi manchit cos’’e nai: non manca mai qualcosa da ridire. In certe questioni nasce sempre un punto di discussione. Soprattutto quando si discute di politica le discussioni non finiscono mai: “ A chini  dha bolit cotta a chini crua”! = chi la vuole cotta e chi cruda. Ma in fondo non è un grande male!

Mali fattu a scusi a craru jei bessit: male fatto di nascosto esce all’aperto. Le malefatte sono come le bugie: hanno il naso lungo e non riescono a nascondersi del tutto.

Mali s’hat fattu, praxèri ndi teneus: ci ha fatto male, è per noi un piacere! Un’offesa o un torto da parte di un nemico è un vero piacere, perché ci da l’autorizzazione a rispondere per le rime. Ma non sempre è così ed il verbo cristiano ci indica un comportamento del tutto diverso, che è ben lungi dalla vendetta!

Mali seus in bois e peus in baccas: siamo messi male a buoi e a vacche. L’espressione si usa per indicare le situazioni di disagio delle famiglie di allevatori. Le cause possono essere di vario genere.

Malu est s’unu e peus est s’atru: cattivo è l’uno e peggiore l’altro. Quando si parla di una coppia di poco di buono, o di due fratelli o amici di cui è meglio non fidarsi, si usa questa espressione. Talvolta però il detto viene usato in senso bonario, cioè per indicare non tanto dei cattivi quanto invece dei birboni.

Mandaresu scua cuaddus: di Mandas che taglia la coda ai cavalli. Che questa sia una vera usanza di Mandas non è dato di sapere, perché anche in altre parti della Sardegna  e del mondo si usa tagliare la coda dei cavalli. Evidentemente quelli di Mandas si sono conquistati questo primato sardo. Del resto i quartesi sono ben noti come mangiatori di cani.

Manighedda e goteddeddu: manico e lama (del coltello). Si usa questa espressione per indicare due persone, solitamente moglie e marito, che litigano tra di loro e che si danno filo da torcere a vicenda. Per lo più come il precedente: malu est s’unu e peus est s’atru.

Mannu che si Piccu de Mobetza: grande che il lastrone(di granito) di Mobetza. È un detto usatissimo nel paese di Gonnosfanadiga (Medio Campidano). Era ed è ancora la risposta che, ad esempio, una madre da al proprio bambino che chiede più di quanto gli sia concesso: “Mamma dh’ ‘òllu mannu, mannu (un pezzo di pane, un biscotto)”! = “ Mamma lo voglio grande, grande”! La risposta: “ Mannu est si Piccu de Mobetza”! In realtà si tratta di un grosso lastrone di granito, che si trova ancora oggi nella località del territorio del Comune di Gonnos.

Marjani becciu tottu cou: vecchia volpe tutta coda. Anche questa espressione viene bonariamente e spesso usata dalle mamme per prevenire o sventare la furbizia dei loro bambini.

Marjani perdit su piu ma no is trassas: la volpe perde il pelo ma non il vizio. In certe persone certi vizi (di rubare ad esempio) non cessano nonostante l’età.

Mellus a dhu disijai che a dh’arrosci: meglio desiderare che aborrire (rifiutare). Si dice anche per un tipo di vivanda. In effetti quando un cibo si desidera si mangia volentieri, quando poi diventa il pasto di tutti i giorni, la “voglia” viene meno. Si adatta bene anche a tante altre situazioni umane.

Mellus a dhu perdi che a d’agattai: meglio perderlo che trovarlo. Si dice di uno scocciatore, e, comunque, di una persona che non gode certo della nostra ammirazione e che accettiamo solo per causa di forza maggiore. Si può riferire anche ad un uomo politico o amministratore che non vogliamo, ma dobbiamo accettare, nostro malgrado.

Mellus a sa (mia) brenti che a su parenti: meglio alla mia pancia che non a quella del parente. La “scarsa generosità” anche tra stretti parenti, può essere determinata da diverse motivazioni!

Mellus a sudai che a sturridai: meglio sudare che starnutire. Sudare fa bene perché è spesso l’effetto della fatica, per cui mettiamo in movimento il corpo e le nostre energie. Lo starnutire invece è il primo segnale del raffreddore o dell’influenza in arrivo.

Mellus a timì che a provai: meglio temere che provare. Temere prima che provare non significa mancanza di coraggio. Coraggio e temerarietà sono due sentimenti ben distinti. Il coraggio presume la paura; la temerarietà ( provare a tutti i costi, senza ritegno alcuno delle conseguenze) è solo pazzia!

Mellus bistiu a barattu che spollau a caru: meglio ben vestito a buon prezzo che semi vestito a caro prezzo. Si dice inoltre, in tono col proverbio, fatzat callenti e arriat sa genti: faccia caldo e rida pure la gente.

Mellus civraxu in domu mia che coccòi in domu allena: meglio il pane nero ( di cruschello) in casa mia, che il “pane duro” ( di fior di farina; di pura semola) in casa altrui. Così ribadiva spesso anche Ludovico Ariosto. È proprio del povero che si accontenta del suo e che non ama fare le riverenze!

Mellus dolori de bussa che dolori de coru: meglio il dolore del portafoglio che il dolore del cuore. i mali del cuore sono spesso più gravi di quelli della “borsa”. È però certo che, a chi ha sempre la borsa vuota, prima o poi vengono anche i mali di cuore!

Mellus mortu tui che deu: meglio la tua morte che la mia. È proprio dell’egoista. Non dimentichiamo però che l’uomo è egoista per natura. O, per meglio dire, pensa prima a se stesso e poi agli altri. Ma c’è anche il detto, onnyùnu po sei e Deus po tottus = ciascuno per se e Dio per tutti. Quando poi uno è pronto a sacrificare la propria vita per gli altri è senza dubbio un Santo o un eroe.

Mellus poburu e sanu che arriccu e maladiu: meglio povero e sano che ricco e malato. Non ci sono dubbi! La salute è la cosa più importante della vita.

Mellus solu che mali accumpanjau: meglio solo che male accompagnato. Nella vita è sempre meglio essere insieme agli altri: l’uomo “è fatto per vivere in compagnia” = s’homini est fattu po bivi in cumpanjìa. Come ho scritto nell’omonima canzone in “Matzamurru e Burrumballa”. Ma quando amici e compagni sono di mala indole è preferibile stare da soli.

Mellus trigu arau che trigu pappau: meglio il grano arato che il grano mangiato. È scontato anche questo, ma non possiamo piangere su quello che abbiamo mangiato!

Mellus u’ segrestanu biu che unu predi mortu: meglio un sacrestano vivo che un prete morto. Per ovvie ragioni. Si dice anche: mellus u’ burriccu biu che unu arrettori mortu: meglio un asino vivo che un vicario( parroco) morto. Anche qui, nonostante il banale confronto, le cose sono ovvie.

Mellus ua pudda oi che u’ boi crasi: meglio una gallina oggi che un bue domani. Non sempre è così, in certi casi è più conveniente attendere: sa pressi meda porta mali = la grande fretta porta male.

Mèri susunca serbidora furunca: padrona tirchia serva ladra. Le due cose si compensano: “ Se tu non mi dai quanto mi spetta, melo prendo comunque”! Nell’un modo e nell’altro l’onestà va a farsi benedire!

 Mes’’e Idas dies malas e festas nodìdas: dicembre, giorni brutti e feste belle. È riferito al Natale ed alle feste natalizie in genere.

Mi batti su coru che topi in casiddu: mi batte il cuore come al topo in trappola. Quando uno si trova in un particolare momento di emozione più che di paura, usa questa espressione.

Mi zumiant is origas: le orecchie mi fischiano. Si aggiunge, fastimmu de predi: maledizione di prete. I malauguri dei preti un tempo erano temutissimi. L’espressione si usa anche in altre situazioni, ad esempio quando uno ha fatto uno sgarbo o reso la pariglia ad altra persona, ha l’impressione( si tratta in effetti solo di fondato sospetto) che quest’ultima gli mandi continue maledizioni.

Modas nobas in terras beccias: mode nuove in terre vecchie. Agli anziani pare strano, ma purtroppo le nuove mode travolgono le tradizioni. È il risultato della globalizzazione.

Monjas de sant’Agostinu duas concas in unu coscinu: suore di Sant’Agostino due teste in un solo cuscino. È riferito al fatto che dormivano in due per cella con un solo lettino, tra l’altro di una sola piazza. I maliziosi avanzano altre ipotesi!

Mortu oi scaresciu crasi: morto oggi dimenticato domani. “Sol chi non lascia eredità d’affetti, poca gioia ha dell’urna…”! Dice il Foscolo ed ha tutte le ragioni del mondo.

Mortu su pippiu finiu su Sant’Uanni: morto il bambino finito il comparatico. Non sempre è così; spesso, nonostante venga a mancare “l’oggetto” del legame, il rispetto e l’amicizia restano per tutta la vita; così come possono mancare anche se il bambino rimane in vita: sciusciàu su Sant’Uanni: finito il comparatico!

Mratzu pruinosu messaiu tinjosu: marzo piovoso massaio tignoso. Le piogge abbondanti nel mese di marzo causano danni ai campi seminati (su lori o laori = i cereali in genere ed in primo luogo il grano).

Mratzu siccu messaiu arriccu: marzo secco massaio ricco. Il mese di marzo secco e soleggiato favorisce la buona crescita dei cereali. ( il contrario del precedente: mratzu pruinosu…).

Musica pagàda fait sonu malu: musica pagata fa suono brutto…soprattutto per chi paga!

 

 

   

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