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ZZDICIUS/S

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DICIUS/S

S’abbisonju fai curri su becciu: il bisogno fa correre il vecchio. A dir la verità il bisogno fa correre tutti, senza distinzione di età. È chiaro che il proverbio vuol dire che nel momento del bisogno uno mette in atto tutte le forze che ha a disposizione.

S’abogau de is causa perdias: l’avvocato delle cause perse. Il proverbio si adatta a tante situazioni della vita quotidiana. Ad esempio, intendiamo punire un bambino perché ne ha combinato di tutti i colori e s’intromette una terza persona a difenderlo, senza cognizione di causa: “ La, castiadhu – esclamiamo - s’abogau de is causas perdias”! = “Là, guardalo, l’avvocato delle cause perse”!

S’acqua bessit de su mari y a su mari torrat: l’acqua esce dal mare ( con l’evaporazione) e torna al mare (con la pioggia e i fiumi). Si adatta a certe situazioni umane, nel bene e nel male. Chi nella vita fa del bene riceverà del bene; chi nella vita procura male, avrà la giusta ricompensa.

S’aliga a su muntonaxu: i resti che non servono all’immondezzaio. Così si può fare con gli oggetti che non ci servono più e che ci creano fastidio, ma non possiamo farlo con le persone umane, anche se tante volte abbiamo desiderato farlo con certi uomini politici!

S’andàda de su fumu: l’andata del fumo. Quando un perfetto scocciatore si allontana finalmente da noi lo salutiamo tacitamente con queste parole. Ed aggiungiamo: “Sa torràda de s’Andrea Doria”! = “il ritorno dell’Andrea Doria”!

S’annu chi had’ a proi fa cun lardu: l’anno in cui pioveranno dal cielo le fave col lardo. Cioè mai; come dire: alle calende greche!

S’annu doxi: l’anno 12. Letteralmente non significa niente, ma lo diciamo per indicare un anno che non viene mai; come dire: “Alle Calende Greche”!

S’anta de su forru dhi parrit un altari: la bocca del forno gli sembra un altare. È il detto dei creduloni che si meravigliano per qualsiasi cosa. Si dice anche: onnya truncu siccau dhi parrit u’ Santu: ogni tronco secco gli sembra un Santo. Un tempo scolpivano i simulacri dei Santi nei tronchi secchi degli alberi. Ad esempio l’antica statuina di Santa Severa, della omonima chiesetta campestre di Gonnosfanadiga, fu ricavata da un tronco di pero selvatico, rinvenuto in loco.

S’arriccu prus ndi tenit e prus ndi bolit: il ricco più ne ha e più ne vuole. È il proverbio dell’avarizia umana: la lupa dantesca, dal ventre enorme, avida, insaziabile. Quindi segue l’altro:  s’arriccu no est mai cuntentu: il ricco non è mai contento.

S’arrimidiu de su mali presenti est sa sperantzia de cras y appustis: il rimedio per i mali presenti è la speranza del domani e del dopo. Si narat puru perou:Chini bivit sperendi..(Dicius, lettera C).

S’arrisu de is crabittus de Pasca( fatzast): il riso dei capretti di Pasqua(tu possa fare). Si dice anche: s’urtimu arrisu fatzast: l’ultima risata tu possa fare! Il belato dei capretti portati al macello sembra una risata. Quando una nostra cantonata suscita lo sghignazzare irrispettoso di chi ci sta vicino, noi contraccambiamo con questa battuta.

S’arròda lunta mali tzicchirriat: la ruota non bene ingrassata cigola tanto. Nelle scelte della vita, soprattutto in quelle importanti, è opportuno programmare bene le cose, per evitare il rischio che le ruote del  “carro” cigolino  tanto, col rischio di spezzare gli “assi”. Vi è tuttavia un’altra interpretazione del proverbio, un po’ più venale, che si adatta bene a certi uomini politici che per certi incarichi chiedono “l’ingrassaggio” adeguato delle “ruote”!

S’arrosa cun su cristallu mascu: la varicella con cristallino. Altro non è che il vaiolo. Quando mamma mi chiedeva un favore ed io, facendo finta di non capire, rispondevo all’italiana: “Cosa”? Lei rispondeva, spazientita ed in rima: “S’arrosa ti èssat – ed aggiungeva - , cun su cristallu mascu”! Certo lo diceva solo per dire, ben conoscendo il significato della frase.

S’homini a traballai, su pilloni a bolai: l’uomo a lavorare, l’uccello a volare. L’uomo senza lavoro è come un uccello senza le ali. Diceva Aristotele: “L’uomo è un animale politico, perché vive ed opera in mezzo ai suoi simili, quindi è anche un animale sociale”! Noi diciamo l’uomo che lavora è un animale politico e sociale; togli all’uomo il lavoro e rimane soltanto un animale!

S’òbera bona no morrit mai: l’opera buona non muore mai. Le opere buone lasciano sempre un segno indelebile. L’umana memoria, diceva Foscolo, glorifica gli uomini, che per la loro patria e la loro gente hanno fatto opere buone.

S’occasioni fait s’homini ladroni: l’occasione rende l’uomo ladrone. Non sempre è così, vi sono al mondo le persone (anche se non sono tante), che per tutto l’oro del mondo non rinuncerebbero al candore della propria coscienza.

S’ogu bolit sa parti sua: l’occhio vuole la sua parte. Le cose belle attirano sempre gli occhi della gente, ma la bellezza non basta. In arte un capolavoro, per essere tale, deve essere bello e buono, cioè bello fuori e buono dentro. Nelle persone umane non è facile trovare insieme le due cose, ma si può, solo che la bellezza è effimera, cioè dura poco, la sostanza invece, se è buona,  resiste anche dopo la morte della persona.

S’ogu de su meri ingrassat su cuaddu: l’occhio del padrone ingrassa il cavallo. Ha per lo più lo stesso senso di Cani tzaulat e procu ingrassat – lettera C. Il cavallo era per molti lo strumento di lavoro, per cui era indispensabile prestargli le necessarie attenzioni. Il proverbio si può intendere anche nel senso che il padrone vede sempre grasso e sano il suo cavallo, anche se questo sta a mala pena in piedi.

S’unconi pratziu, s’anjulu si dho-y seidit: il boccone diviso è sempre benedetto. Chi divide le proprie sostanze con chi ne ha bisogno è benedetto da Dio.

Sa brufessòni de cresia bessit, a cresia torrat: la processione esce da chiesa ed a chiesa ritorna. È così anche per la vita umana: dessa terra besseus, assa terra torraus: dalla terra usciamo, alla terra torniamo.

Sa campana tzerriat is atrus a cresia, ma cussa no intrat mai: la campana chiama gli altri in chiesa, ma essa non entra mai. Il detto si adatta perfettamente a quelle persone che pretendono di insegnare la saggezza agli altri ed invece si comportano da stolti. Armiamoci e “partite”!

Sa carràda pitia fait si binu bonu: botte piccola fa buon vino. È un modo di difendersi dei piccoli, fisicamente s’intende. A me sta bene!

Sa conca dh’hat fattu, sa conca dhu prangit: la testa l’ha fatto, la testa lo piange. Chi è causa del proprio male pianga se stesso!

Sa cou est sa prus mala a scroxai: la coda è la più difficile da spellare. Si dice anche della volpe. Ma per lo più riguarda la maggior parte delle faccende umane, lavori, compiti,  impegni vari, la cui parte finale è sempre la più dura da portare a termine. Per contropartita, capita spesso che la parte finale di un lavoro si faccia volentieri ed anche con un certo ardore, per il fatto che dopo c’è la ricompensa ed il riposo. Sa cou (coda) è intesa spesso come parte finale della vita umana. Anche la vecchiaia, nonostante gli acciacchi, può essere vissuta serenamente, in attesa del riposo e della ricompensa.

Sa coxina pittia fait sa domu manna: la cucina piccola rende grande la casa. Il proverbio si presta a diverse interpretazioni: la cucina per i sardi è il luogo dove si consuma in fretta il pasto frugale, non è cioè il luogo dove si mangia a ufo, si tracanna a volontà e si fa “salotto”.

Sa cuscientzia est che su chirighittu: la coscienza è come il solletico. C’è infatti chi lo teme e chi invece no! In tutti gli uomini i rimorsi di coscienza puntualizzano l’errore, ma c’è chi si preoccupa e chi invece se ne “sbatte”!

Sa dì bona si biri de manjanu: il buon giorno si vede dal mattino. Si tratta di un proverbio comune, che si adatta a tante situazioni o accadimenti della vita umana. Si dice anche: “ Chi ben comincia…”! Ci sono ovviamente le eccezioni, e sono tante!

Sa dì de oi, maista po crasi: la giornata odierna maestra per domani. Facciamo tesoro della esperienza del giorno d’oggi, che è insegnamento per la vita di domani.

Sa dì de Santa Luxia o proit o fait cibixia: il giorno di Santa Lucia o piove o fa la gelata. Il 13 dicembre arrivano le prime avvisaglie dell’inverno, o piove e tira vento o a cielo sereno la rugiada notturna si tramuta in brina (cibixìa).

Sa domu pittia e su coru mannu, mannu: la casa piccola, ma il cuore grande, grande. È un antichissimo detto che ricorda la “proverbiale” ospitalità dei sardi, i quali, come ho già detto altrove, offrono all’ospite tutto quello di cui dispongono, fuorché la propria moglie ed il proprio culo!

Sa fa in terrenu sciustu, su trigu in terrenu siccu: le fave in terreno umido, il grano in terreno asciutto. Ogni cosa (e persona) va messa nel luogo giusto. Di fatto però non era così. Bastava vedere le amministrazioni di molti nostri Comuni: il maestro di scuola era assessore ai lavori pubblici ed il geometra assessore alla cultura ed alla istruzione.

Sa farrina de su tiau si ndi andat in poddini: la farina del diavolo se ne va in crusca. Dovrebbe essere sempre così, in realtà si tratta di un desiderio irrealizzabile o tutto al più realizzabile spiritualmente.

Sa femmina ndi sci(ri) una in prus de su tiau: la donna ne sa una in più del diavolo. Alla donna si attribuiscono troppo facilmente e per malignità, qualità e competenze negative, che non ha.

Sa fida a is hominis no donat nudda sen’’e trumentu: la vita agli uomini non da niente senza sacrifici. Per raggiungere certe mete è opportuno sacrificare. Ci sono, è pur vero, grosse differenze per chi, ad esempio si costruisce una modesta casa, risparmiando e sacrificando su un salario da operaio e per chi arriva a permettersi l’automobile Ferrari, modello “Enzo” con pochissimi sacrifici.

Sa gherra fait mali a tottus finas a chi dha bincit: la guerra fa male a tutti persino a chi la vince. È un proverbio universale che si adatta perfettamente alla storia del genere umano del passato e del presente. In poche parole la guerra è sempre un male, anche quando essa è inevitabile.

Sa lingua segat ossu e pruppa: la lingua taglia carne ed osso. È ben vero che spesso la lingua è più tagliente di un coltello e può causare gravissimi danni. Le malignità lasciano ferite che non sempre si possono rimarginare.

Sa mamma est sempri mamma e sa bidria est sempri bidria: la mamma è sempre mamma e la matrigna sempre matrigna. O come si dice altrimenti: di mamma ce ne è una sola!

Sa mandronìa est sa mamma de sa miseria: la pigrizia è la madre della miseria. È la pura e santa verità, ma c’è un altro proverbio che dice: onnya mandroni tenit sorti: ogni poltrone è fortunato. Noi comunque crediamo nel significato del primo detto.

Sa marighedda ( su cunjaleddu) bandat a funtana fintzas chi si segat: la brocca(di terracotta) scende nel pozzo sino a che si frantuma. Vi sono le persone che insistono tanto nelle cose pericolose, da rischiare l’irreparabile. O ladri che insistono sino a farsi scoprire.

Sa matta s’aderetzat de pitia: l’albero si raddrizza quando è piccolo. Nei bambini possono insorgere dei difetti, che è possibile correggere. Quando invece i difetti insorgono in età adulta, la correzione è meno semplice e talvolta assai difficile.

Sa morti disijàda no arribat mai: la morte desiderata non arriva mai. Vi sono certi casi in cui uno desidera morire, ma è condannato a vivere. Si desidera di morire in serenità, ma non a tutti è concesso. Qui da noi l’eutanasia non si può praticare, né per legge, né per religione. Secondo quest’ultima, Dio ha dato la vita, ed a Lui spetta di toglierla.

Sa pettedda ghettat nexi a su scraffaioni: la blatta (nera) si lamenta dello stercorario. Il proverbio si adatta a due persone, le quali, nella propria abbondante stoltezza, si accusano reciprocamente di ignoranza.

Sa pruppa a su tiau, is ossus a Deus: la polpa al diavolo gli ossi a Dio. Ce ne è un altro, il cui significato è molto simile, che dice: “Tottu  a sa brenti y a Deus nienti: tutto al ventre e a Dio niente. Il detto è per chi trascura la religione, accontentando solo i sensi. Tornando al passato mi viene in mente la devozione dei greci e quella dei latini, per i loro dei. Religiosità che si concretizzava coi sacrifici. Delle vittime immolate i greci sacrificavano (bruciandole) le parti migliori, cioè le carni e mangiavano le visceri, mentre i latini ( i romani per intenderci) bruciavano le visceri e mangiavano le parti migliori, ritenendo che le visceri bruciate emanassero un odore più forte e quindi più raggiungibile per gli dei. Come a dire: sa pruppa a sa brenti, is ossus a Deus.

Sa sperantzia aggiudat su poburu, sa sienda su susuncu, sa morti su chi sunfrit meda.

Sa tirria de oi lassàdha a crasi: l’odio di oggi lascialo a domani. È ovvio che si ripete tutti i giorni! È la stessa storia del gelataio che tutti i giorni, con la sua carrozzella, passava nel nostro vicinato e gridava: “ Gelati, gelati alla vaniglia, chi non porta soldi non ne piglia – ed aggiungeva sempre -; oggi si paga domani no”!

Saccu buidi no abàrrat in pei: sacco vuoto non rimane in piedi. Si dice per tutte le cose, sia di natura pratica che teorica, che non hanno fondamento alcuno. È un proverbio universale. Quando una qualsiasi affermazione lascia il tempo che trova è come un sacco vuoto, come le promesse elettorali degli uomini politici.

Santa Bibiana mia: Santa Bibiana mia. Usiamo questa esclamazione quando vogliamo rimarcare il nostro finto spavento per un fatto che ci viene presentato, dal nostro interlocutore, come increscioso, ma che noi non riteniamo tanto spiacevole.

Sciusciai su santuanni: sciogliere il comparatico. Quando due compari ( per battesimo, cresima o di “San Giovanni dei fiori” – vedi: CuriositàSu Sant’uanni de is froris: il Comparatico dei fiori) sciolgono, solitamente per un motivo abbastanza grave, la propria, reciproca amicizia.

Segai sa màniga de sa marra(marròni, piccòni) po accabbài sa giorrunàda: rompere il manico della zappa( zappone, piccone) per finire la giornata. È riferito a chi cerca scuse qualsiasi per non terminare un lavoro. Il bambino che rompe la penna per non finire il compito. A scuola il ragazzo alla lavagna comincia a scrivere: “Prof. è finito il gesso”! “Chiedine una bacchettina alla bidella”! Va e torna, senza fretta. “Prof. la bidella non ne ha più, ha detto che sono sparite e non sa come”! In verità è il ragazzo che ne ha nascosto la scatola.

Seguru che acqua in sedatzu: sicuro come l’acqua nel setaccio. È un paradosso, perché tutti sanno che l’acqua nel setaccio non rimane proprio.

Senza de dina®i no si cantat missa: senza soldi non si canta messa. La messa cantata impegna di più il celebrante ed il seguito e per essa quindi si versa il “soldo”. Come un tempo si versava il “soldo” al predicatore per il panegirico di un santo( vedi il mio libro “Frioleras e Contus” Sa predica de Santu Roccu). Il proverbio vuole inoltre dire che senza i soldi anche le cerimonie, religiose e non, sono ridotte all’essenziale.

Si bisonju faity s’homini ballenti: il bisogno rende l’uomo valido. Si dice altrimenti: il bisogno aguzza l’ingegno. Ed io aggiungo( già detto e ripetuto altrove): “tristu e miserinu s’arriccu, su poburu jei s’arrangiat”!(vedi Dicius lettera - T)

Si bivis cun trampas, meda non campas: se vivi con l’imbroglio non campi molto. Se fosse almeno come dice il proverbio, gli imbroglioni dovrebbero avere vita corta, invece è proprio il contrario. Is tramperis funti cumenti ‘e is pisittus: tenint setti fidas: gli imbroglioni sono come i gatti: hanno sette vite.

Si dhi donas una mannu bolit su bratzu: se gli dai una mano pretende il braccio. Il proverbio invita a stare attenti con le persone che aiutiamo e che pretendono poi più di quanto possiamo, o siamo disposti, a dare.

Si unu no bolit dus no certant: se uno non vuole due non litigano. Per litigare bisogna sempre essere in due. A meno che uno non litighi con se stesso!

Spacciàu s’ollu de procu: finito il grasso di maiale. Per i poveri ci possono essere effimeri periodi di benessere, dopo di che, spaccaiu s’ollu de procu, si ritorna alla normale indigenza. Ha lo stesso senso di Spacciàu s’ollu Hermànu: finito l’olio d’oliva.

Spiantau che bagàssa in cida santa: in bolletta come una prostituta durante la settimana santa. La settimana santa era, per la religione cristiana, un periodo di astinenza, che molti uomini rispettavano. Era pertanto un periodo di magra per le “peripatetiche”. Oggi le cose sono cambiate.

Stmau che pinni in lettu: amato come il cimice dei letti. Per capire il detto basti pensare che il cimice dei letti era l’insetto più odiato da tutti. Trovare i cimici tra le coperte del letto o nei materassi costituiva motivo di incredibile preoccupazione e spavento per tutti. Nell’indice di “gradimento” il cimice dei letti occupava la stessa posizione della zanzara anofele, portatrice di malaria.

Su boi narat corrùda a sa craba: il bue chiama cornuta la capra. Il senso è lo stesso del precedente: sa pettèdda ghettat nexi a su scraffaiòni.

Su bonu cantadori tenit sa torràda: il buon cantautore rispetta la rima. Il proverbio si adatta a tante situazioni o casi della vita. Se aspetti ad esempio qualcosa da una persona onesta, che magari è in ritardo, non aspetti invano, perché è senz’altro impedita da forza maggiore, superata la quale ti renderà indubbiamente il dovuto.

Su burrucau porta s’acqua: il gruccione(simile al picchio verde)annuncia le piogge. È credenza comune che il raduno in stormo, all’appressarsi dell’autunno, dei gruccioni, col loro caratteristico richiamo, che sembra un lamento, annunci l’arrivo delle piogge autunnali. Noi riteniamo che si tratti di una credenza fondata su solide radici. Gli antichi interpretando il comportamento degli animali e soprattutto degli uccelli, riuscivano a presagire tante cose, alle quali si adeguavano.

Su chi no scieus e no bieus no dhu disijaus: quel che non conosciamo e non vediamo non è oggetto dei nostri desideri. E’ infatti per noi impossibile desiderare una cosa che non abbiamo mai visto e di cui non abbiamo mai sentito parlare.

Su chi no suntzedit in cent’annus sutzedit in un’ hora: quel che non succede in cento anni succede in un’ora. Si raccomanda sempre la prudenza, che può infatti salvare l’uomo da mille pericoli. Ma talvolta non basta essere prudenti. Vi è un qualcosa di apparentemente predeterminato ( chiamiamolo caso, sorte o destino) che sfugge a tutte le possibilità di controllo dell’uomo, quindi anche alle probabilità.

Su chi si donat a is poburus si donat a Deus: quel che si da ai poveri si da a Dio. Ama ed aiuta il prossimo tuo, soprattutto quello bisognoso: è la parola di Cristo!

Su civraxu fait su pius brundus e s’ogus braxu: il pane nero fa diventare biondi i capelli e gli occhi azzurri. Ai bambini come ai grandi piace di più il pane bianco che il nero. Nelle famiglie dei poveri ( qui in Sardegna) il pane bianco (sa moddixina) si poteva comprare raramente, perché costava più del doppio del pane nero (su civraxu). Ecco che le mamme per convincere i loro bambini a mangiare il pane, quello nero, dicevano loro che così i loro capelli sarebbero diventati biondi e gli occhi azzurri: il ché era il sogno di tutti i bambini sardi!

Su coidau (giuditziu) fait sa domu: la prudenza fa la casa: nel senso che una casa, cioè una famiglia va amministrata con prudenza e scrupolosa attenzione. La casa male amministrata( chiaramente, in senso materiale e morale) va presto alla deriva.

Su cuaddu de Santu Franciscu: il cavallo di San Francesco; cioè a piedi.

Su cunjabeddu calat a funtana fintzas chi si segat: la brocchetta scende nel pozzo sino a che si rompe. Ad esempio: chi ruba con spudorata insistenza prima o poi viene colto con le mani nel sacco e paga tutto in una volta. Vedi sa marighedda…

Su dina®i no fait lei: il denaro non fa la legge. Nella Carta de Logu di Arborea, per citare la prima raccolta di leggi scritte in sardo, la legge è uguale per tutti, ed in molte sue parti è specificato che determinati reati non si possono saldare con i soldi (pro dinari). Ma sappiamo benissimo che col denaro, in passato ed in presente, anche i più grossi delinquenti hanno potuto e possono evitare la galera, che, per quanto ci risulta, è per la maggior parte riservata ai poveri diavoli. Quindi il proverbio lascia il tempo che trova. Con la legge di Dio ovviamente le cose cambiano, ma è una legge che con i nostri affari terreni c’entra poco o niente.

Su fitziu bincit su giudìtziu: il vizio vince la saggezza. È vero, ma solo qualche volta! Solitamente invece, l’uomo saggio riesce a dominare i propri sensi e quindi i propri vizi.

Su lampioni fait prus luxi ananti che asegus: il lampione fa più luce davanti che dietro. È un proverbio riferito agli ingrati, i quali guardano sempre davanti, senza mai voltarsi indietro.

Su lori costat sudori: il “grano” costa sudore. Laori deriva dal latino laborem = lavoro. Laori è quindi il lavoro dei campi, che producono il grano( per indicare il re dei cereali) e dunque il pane. Quanti giovani al mondo vorrebbero “sudare”, possibilmente nella propria terra!

Su macchimini est sempre de 36 genìas: la pazzia si propaga per 36 generazioni. A noi sembrano un po’ troppe, ma se i nostri nonni la pensano così, evidentemente hanno le loro buone ragioni.

Su molenti bittit palla, su molenti pappat palla: l’asino porta la paglia, l’asino mangia la paglia. E’ l’espressione con la quale una mamma rimprovera il proprio bambino, che ha portato a casa tante caramelle in regalo e le ha mangiate tutte senza offrirne a nessuno. Il detto si adatta anche a tante altre situazioni in cui sono coinvolti non solo bambini.

Su molenti sardu dhu incòsciant una borta fetti: l’asino sardo lo raggirano (sodomizzano) una sola volta. È chiaramente riferito non agli asini, ma alle persone. È difficile che un sardo si faccia imbrogliare due volte dalla stessa persona o per la stessa cosa.

Su mundu est tundu e chi no iscit navigai calat a fundu: il mondo è rotondo e chi non sa navigare va a fondo. Per dire che nel mondo ci sono tanti pericoli, per cui è necessario comportarsi sempre con discrezione.

Su mundu est un’arroda chi girat sen’’e ibasiu: il mondo è una ruota che gira senza fermarsi. Per cui bisogna adattarsi. Come il precedente.

Su pisittu si cuat e sa cou si parrit: il gatto si nasconde ma lascia in vista la coda. Il detto si adatta a quelle persone di dubbia onestà, ladri in genere, che lasciano un chiaro segno di riconoscimento delle loro malefatte. Il detto si adatta perfettamente anche al rimorso di coscienza. Una malefatta, pur furbescamente nascosta, lascia la “coda”  mal riposta nella mente di chi l’ha compiuta.

Su poburu miserìnu, candu tenit s’agu no tenit su filu: il misero quando ha l’ago non ha il filo. È come il precedente (Dicius/C): Candu su poburu si ponit a coi, ndi dh’arruit su forru.

Su sàbiu sbagliat setti bortas sa dì: l’uomo saggio sbaglia sette volte al giorno. Noi ci chiediamo: “ E lo stolto, quante volte sbaglia al giorno”?

Su scraccàlliu (currùxu) de su burrìccu: il raglio dell’asino. Quando uno ride sguaiatamente e fuori luogo lo si rimbrotta: “ Intendìdhu, su scraccalliu de su burriccu”! = “ Sentilo, il raglio dell’asino”!

Su tiau fait is pinjàdas, ma is crabettoris no: il diavolo fa le pentole ma non i coperchi. Chi prepara inganni dimentica sempre qualcosa, per cui i suoi sotterfugi difficilmente raggiungono la piena riuscita.

Su treballu ndi bogat is fitzius: il lavoro scaccia i vizi. È un proverbio sacrosanto; il lavoro non solo toglie i vizi, ma realizza la persona: ne mette in moto le risorse del corpo e dell’ingegno. Il compito, primo in assoluto, degli uomini politici è di adoprarsi con la forza e con l’ingegno a reperire il lavoro per tutti coloro che lo cercano ( lo indica con vigore la Costituzione Italiana). Là dove la disoccupazione ha raggiunto livelli altissimi, l'azione politica ha scelto vie diverse da quelle indicate dalla Costituzione.

 

 

   

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