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ZZDICIUS/P

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DICIUS/P

Pagu beni mannu: “poco bene grande”. È una tipica espressione (proprio sarda) che si usa al posto del latino utinam per indicare una cosa che si desidera, ma della quale si hanno poche speranze. Quando una persona ci augura un bene, noi rispondiamo così – pagu beni mannu – come a dire che ci augurano avvenga quanto desideriamo, ma di cui abbiamo perso, quasi interamente, la speranza.

Pagu beni tuu: poco bene tuo. Con lo stesso significato del precedente, ma personalizzato.

Pagu genti festa bella: poca gente festa buona. Non è proprio così! È comunque un proverbio di consolazione per gli organizzatori di una festa o di un festino, a cui hanno invitato tante persone, che però arrivano in numero ridotto. “Tutto quello che c’è ce lo godiamo in pochi”! “Pagu genti festa bella”! Si dice appunto, col sorriso sulle labbra; ma si tratta di un sorriso a denti stretti, di tipo pirandelliano.

Pampa meda e braxa nudda: molta fiamma e poche braci. Dicesi di un avvenimento  che prometteva grandi cose e che invece si risolve con poca sostanza: tutto fumo e niente arrosto! Il proverbio si adatta anche alle persone che da bambini o ragazzi sembrano di grande ingegno e poi invece risultano mediocri. Questo avviene spesso nel mondo dello sport e  dello spettacolo. Ancora meglio il detto si adatta al mondo della politica (“Mi pareva”! Esclameranno i politici), dove, quasi sempre, le grandi fiammate iniziali o promesse, per meglio dire, danno pochissime “braci”.

Pani e casu e binu arrasu: pane, formaggio e vino a raso(vino a bicchieri pieni). L’espressione segna spesso la fine della storia: “ Dha iant accabàda a pani e casu e binu arrasu e si nci fiant torraus a domu cun dh-u’ ciliru ‘e binu e u’ frascu ‘e pistoccu”! = “La finirono a pane e formaggio e vino a bicchieri a raso e se ne tornarono a casa con un setaccio di vino ed un fiasco di biscotti”!

Pani moddi e pagu gana: pane appena sfornato e brutta voglia…tengiast (tu abbia, o tengat (abbia egli)o tengant (abbiano) – aggiungiamo. È solitamente usato come rima in “ana”, in senso negativo. Quando ci chiedono o ci dicono qualcosa che termina in “ana” e non condividiamo la sostanza della richiesta o del riferimento, rispondiamo così.

Pappa pagu e comporadindi: mangia poco e compratene. Quando ci chiedono qualcosa che non vogliamo cedere perché ci è costata tanti sacrifici, rispondiamo così: come a dire: “ sacrifica anche tu e l’avrai”!

Pappai pani de setti forrus: mangiar pane da sette forni. È riferito alle comari o pettegole, che raccolgono e riportano “coram populo” i più svariati pettegolezzi.

Pappau su para mannu si pinnicat sa mesa: dopo che ha mangiato il priore (in convento) si ritira la tavola. Sono le regole del convento. Questo detto si usa generalmente dove ci sono figli giovani che non osservano gli orari di mensa, stabiliti in base alle esigenze del capofamiglia.

Parrit unu Santu sen’’e festa: sembra un Santo senza festa. Si usa dire così quando si incontra una persona estremamente triste. Vedi l. T: “Tristu che u’ Santu sen’’e festa”.

Passau su Santu spacciàda sa festa: passato il Santo(con la processione) finita la festa. Per le feste pesane in onore dei Santi di solito si fa una questua, il cui ricavato serve appunto per fare la festa. Quando il ricavato dalla questua era ridotto e c’era appena il denaro per “pagare” la celebrazione religiosa e tutt’al più qualche soldo per alcuni razzi e petardi da far esplodere durante la processione, la festa finiva lì, appunto col passaggio del Santo.

Peccau de babbu dhu prangint is fillus: il peccato del genitore lo piangono i figli. Ancora oggi può capitare che gli errori e le colpe dei genitori ricadano sui figli.

Perdi latti e casiddu (o casilloni): perdere il latte ed anche il secchio. Significa perdere tutto. È il massimo della sfortuna che può capitare ad uno in un affare: di perdere tutto, persino il “contenitore”!

Perdi sa cassola po tres arrialis de pibiri: perdere lo zimino per pochi centesimi di pepe. Talvolta può capitare di spendere un bel po’ di soldi per preparare un pranzo per ospiti d’onore e per un nonnulla, cioè per una piccolissima ulteriore spesa, si fa una figuraccia. Il proverbio bene  si adatta anche a tante altre situazioni. A proposito tres arrialis era la moneta del valore di cinque centesimi di lira.

Petza niedda brodu saporiu: carne nera brodo saporito. È un detto inventato dai cacciatori. Quando infatti questi tornavano a casa con poca roba e tutt’al più con qualche ghiandaia, presa tanto per non rientrare col carniere vuoto, davanti alle loro consorti, per niente soddisfatte della selvaggina, esclamavano per farsi perdonare: “ Sono buone per il brodo”! “Petza niedda, brodu saporiu”! A fine agosto del 1971, mi trovavo a Stazione Termini, in attesa di partire per Civitavecchia per il rientro in Sardegna: ero militare, con un commilitone cagliaritano. Mi capitò di incontrare un vecchio amico della scuola elementare, arruolato in polizia, ma era in abiti borghesi e andava insieme ad una ragazza di colore. Ho salutato con stretta di mano ed alla mia evidente curiosità per la sua compagna, prima che pronunciassi parola, esclamò: “ Petza niedda, brodu saporiu”!

Picciocheddu de crobi: ragazzino da canestro (cesta). È un detto più che altro cagliaritano. Le signore di Cagliari usavano un tempo, quando si recavano nei negozi o al mercato per le compere, portarsi appresso un ragazzino con la cesta in testa per depositarvi la spesa.

Pigatidha muru, muru: prenditela muro, muro. Quando facciamo una proposta ad un amico o collega, per cui riteniamo sia di vantaggio, al suo diniego rispondiamo così: “Pigatidha muru, muru”! come a dirgli: “ Vai in malora”!

Pilloni chi no biccat hat biccau: uccello che non becca ha beccato. L’espressione si rivolge alla persona invitata a mangiare qualcosa, anche di prelibato, che però rifiuta. Per cui noi pensiamo che abbia già mangiato. Il proverbio si adatta anche ad altre situazioni, che non hanno le vivande come oggetto del “beccare”!

Po andai a festa onnya mandròna est lesta: per andare a festa ogni poltrona è lesta. È riferito alle donne “poltrone”, che  trascurano un po’ le faccende domestiche e che invece sono sempre pronte per andare alle feste. Per certo è un proverbio che si adatta anche ai maschi, a quelli poltroni, ovviamente. 

Po malu paralimpu mellus dhu fatzu deu e tottu: se l’ambasciatore( il pronubo, paraninfo) non è capace, è meglio che lo faccia da me. Spesso affidiamo ad incapaci determinati nostri affari, che invece potremmo risolvere meglio noi stessi.

Po Santa Luxìa o proit o fait cilixìa: a Santa Lucia o piove o scende la brina. Il 13 dicembre per gli antichi era un giorno particolare, perché solitamente si facevano sentire anticipatamente i rigori invernali.

Pobidda e cuaddu tenidhus a caru: moglie e cavallo tienili con grande cura. Si tratta di un proverbio molto significativo, perché la moglie, per un uomo, era ed è, oltre che la compagna della vita, indispensabile per governare la casa ed allevare i figli ed il cavallo era lo strumento del lavoro.

Poni cuaddus in facci: mettere cavalli in viso. Rispondere per le rime ad una persona che si è preso e continua a prendersi gioco di noi. Come a dire: “ Se uno ti prende per scemo, fai vedere con le buone o con le cattive che ha torto marcio”!

Ponìdhi Peppi: mettigli (di nome) Peppe. Si usa il detto quando si decide di non  insistere oltre in una faccenda, che, nonostante i tentativi, non si è riusciti a portare a termine. Non capisco però che cosa c’entri il mio nome, Peppe, appunto!

Portai pistoccu in bertula: avere il biscotto ( denaro) nella bisaccia. Quando si affronta un affare per cui è richiesto il possesso di una cospicua somma di denaro si dice comunemente: “Nci bolit pistoccu in bertula”! = “ Bisogna avere la bisaccia ben piena di denaro”!

Portai s’ogu prus mannu de sa brenti: avere l’occhio più grande della pancia. È il proverbio dei golosi, che, trovandosi davanti ad una tavola apparecchiata di tante vivande, “prendono” con gli occhi più di quanto non possa stare nella propria pancia.

Portai unu tiau in d-onnya piu: avere un diavolo per capello. È un detto comune, che si adatta alle persone che non stanno mai ferme e ne combinano di tutti i colori.

Prangi lagrimas de coccodrillu: piangere lacrime di coccodrillo. Vuol dire piangere per un male, la cui causa siamo noi stessi. Succede spesso anche ai bambini di fare a pezzi un giocattolo perché questo non soddisfa più le loro “voglie”. Pochi minuti dopo li vediamo piangere a lacrime perché vorrebbero il giocattolo di nuovo intero: lacrime di coccodrillo!

Prattu torrau: piatto reso. Quando si fa un torto ad altra persona e questa ci rende la pariglia, coi fiocchi, si dice appunto “prattu torrau”!

Prexau che una Pasca: contento come una Pasqua. In riferimento al giorno di festa che è ritenuta la migliore dell’anno. Ci si esprime così quando vediamo una persona che non “sta nella pelle” per la contentezza: “Là, castiadhu, est prexau che una Pasca”! Là, guardalo, è contento come una Pasqua”!

Pudda beccia, brodu saporiu: gallina vecchia fa buon brodo. Si adatta perfettamente alle persone anziane, i cui consigli sono sempre eccellenti.

Puntu, mortu e ghettau a sa bertula: infilzato, ucciso e messo nella bisaccia. È un proverbio che si usa per indicare una faccenda risolta in quattro e quattr’otto.

Prima a Deus e poi a is Santus: prima a Dio e poi ai Santi. In tutti gli “Enti” c’è una scala gerarchica da rispettare, anche in Paradiso.

Predicai a su bentu: predicare al vento. Proverbio comune. È proprio dell’educatore (genitore od insegnante) che dà dei buoni consigli ai suoi educandi, i quali però fanno orecchie da mercante.

Piga, paga e bai cun Deus: prendi, paga e vai con Dio. È il solito discorso del “buon” commerciante, che non fa credito a nessuno.

Pappai Santus e cagai tiaus: mangiare Santi e cagare diavoli. È il proverbio dell’ipocrisia. Vi sono addirittura i “simulatori” che pregano i Santi perché abbiano male i loro nemici. Il Vangelo li chiama giustamente farisei, sepolcri imbiancati.

Po fai bella faina nci bolit su tempus sùu: per fare un buon lavoro ci vuole tempo. Le cose fatte in fretta risultano quasi sempre raffazzonate, di scarso valore.

Perdi tottu foras che s’onori: perdere tutto fuorché l’onore. “ Cara madre, tutto è perduto fuorché l’onore”! Così scriveva il re di Francia Francesco I, sconfitto dall’imperatore Carlo V,  alla madre Caterina dei Medici. A lui, dopo la sconfitta, fu concesso l’onore delle armi.

Pobiddu scorriau, mullèri mandrona: marito con camicia e calzone non rammendati, moglie poltrona. Questo proverbio andava bene un tempo, oggi non più, sia perché molte donne sposate lavorano e non sono più tenute a rammendare i calzoni del marito, sia perché i calzoni sbrindellati vanno di moda!

Po Santu Martinu su mustu est binu: per San Martino il mosto è vino. È un proverbio nazionale. L’11 novembre ( estate di San Martino) è il giorno in cui si spilla il primo vino novello ( quello bianco). È il giorno del primo assaggio e della prima sbronza d’annata!

Pappai e buffai fait sa genti prexai: mangiare e bere fa la gente contenta. “E – si aggiunge – a brenti prena s’arrexonat mellus”! = a pancia piena si ragiona meglio: purché nel bere non si superi la misura.

Pratziu che petza de ( sirboni) cassa: diviso come la carne del cinghiale. Si dice così per indicare una divisione quasi perfetta. Si dice anche pratzidùra a fradis = divisione da fratelli. Uno dei fratelli (solitamente il primogenito o in altri casi il più esperto) viene incaricato della divisione di un bene, ad esempio un terreno, tra i vari fratelli. Deve stare particolarmente attento  e scrupoloso nel fare le parti perché prende la parte che rimane, dopo che tutti, prima di lui, hanno scelto.

Passau s’abbisonju scaresciu s’amigu: cessato il bisogno dimenticato l’amico. Vi è un proverbio che dice che il vero amico si vede nel momento del bisogno. Ma se nel momento del bisogno ci aiuta un vero amico non è assolutamente giusto dimenticarsi di lui appena il bisogno è cessato. Il proverbio è in accordo con un altro già citato (vedi L. “F”) fai beni e bai in oramala = fai bene e vai in malora.

Pippius e maccus narant sa beridadi: bambini e scemi dicono la verità. È proprio così, eppure la loro testimonianza non ha alcun valore!

Portai pinnicas che su centupilloni: avere pieghe come il ventre del bue. È riferito a quelle persone, maschi o femmine, senza distinzione alcuna, che ne sanno una in più del diavolo = ndi sci(ri)nt una in prus de su tiau.

Peus de is crobus funti is losingadoris: peggiori dei corvi sono gli adulatori. Si aggiunge: “ Is primus si pappant is mortus; is segundus nc’igurtint mortus e bius”! = “ I primi mangiano i morti i secondi ingoiano morti e vivi”!

Poeta ses, miseru morris: sei poeta? Morirai misero. “Carmina non dant panem” ( le poesie non danno da mangiare) – dicevano i latini.

Peddi allena, corria larga: pelle altrui correggia larga. È un bellissimo proverbio, che si adatta a coloro che approfittano della fiducia degli altri.

 

   

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